“Inseminare” le nuvole per aumentare le precipitazioni. Molti Paesi del mondo usano già questa contestata tecnologia che secondo alcuni ci salverà dallo smog
Sembra fantascienza ma non lo è, il cloud seeding è una pratica geoingegneristica che consente di provocare precipitazioni. Un sistema che secondo alcuni può rappresentare un’arma importante nella lotta contro lo smog (è già stato usato per questo scopo), mentre per altri sarebbe potenzialmente pericoloso o non molto efficace. Insomma, mentre una ricerca mostra che esistono piogge di plastica che colpiscono il monte Fuji, c’è chi le precipitazioni vuole utilizzarle proprio per difendersi dall’inquinamento. Andiamo a scoprire qualcosa in più di come (e quanto) funziona il cloud seeding.
Cos’è il cloud seeding
Il cloud seeding è una tecnica che consente di “inseminare” le nuvole, dando vita a precipitazioni o aumentando l’intensità delle piogge. Per ottenere tale risultato vengono disperse nelle nuvole sostanze chimiche che fungono da nuclei di condensazione: particelle che assorbono l’acqua fino a raggiungere un peso tale che consente loro di precipitare al suolo. Le sostanze più utilizzate per tale scopo sono lo ioduro di argento, il ghiaccio secco e lo ioduro di potassio.
In poche parole, con il cloud seeding vengono stimolate le nuvole in transito a produrre precipitazioni. Per ottenere tale risultato vengono solitamente utilizzati gli aerei, ma in alcuni casi sono stati impiegati sistemi di lancio da terra.
Breve storia del cloud seeding
Il cloud seeding era già stato immaginato (e tentato, seppur con scarsi risultati) nella prima metà del ‘900. Già negli anni ’40 si conosceva la tecnica per aumentare o provocare le precipitazioni. Decenni dopo, fece scalpore l’annuncio del governo cinese di inseminare le nuvole di Pechino per evitare che piovesse durante le cerimonie delle Olimpiadi del 2008.
Più recentemente, il Messico ha ammesso di aver utilizzato il cloud seeding (almeno una volta l’anno a partire dal 2020) per contrastare la siccità che sta recando non pochi danni alle aree interne del Paese. Peraltro le fonti governative messicane hanno comunicato che il progetto di piogge artificiali ha ottenuto risultati importanti ed incoraggianti. In Pakistan, invece, il cloud seeding è stato utilizzato per la prima volta nel 2023 per abbattere i livelli di smog. A Lahore, infatti, la concentrazione di polveri sottili nell’aria supera di oltre 60 volte i limiti imposti dall’OMS.
Ad oggi sarebbero oltre 50 le nazioni mondiali che hanno utilizzato il cloud seeding per manipolare gli eventi meteorologici, ma non sono pochi i detrattori di tale pratica.
Cloud seeding: pro e contro
Come dicevamo, non tutti concordano nell’affermare l’efficacia del cloud seeding. Secondo molti esperti, infatti, servirebbero studi più accurati sugli effetti a medio/lungo termine dell’inseminazione delle nuvole con sostanze chimiche.
Ancora, secondo molti ambientalisti il cloud seeding sarebbe una risposta insufficiente ai problemi del cambiamento climatico e dell’inquinamento dell’aria: una misura tampone che potrebbe distrarre l’attenzione di istituzioni e cittadini dalla necessità di abbattere i consumi, soprattutto energetici (materia in cui, dicono i dati, l’Italia si destreggia più che bene!).
Infine, l’ultima critica mossa al cloud seeding è che tale procedura sarebbe per lo più inefficace a causa dell’approssimazione con cui è possibile individuare l’area su cui le nuvole inseminate scaricheranno la pioggia.
A proposito di clima, scopri gli effetti bizzarri
(e preoccupanti) del cambiamento climatico!
_Matteo Donisi