Tecnicamente è stato definito “doomscrolling” ed è lo scorrimento compulsivo sui social o sui siti Web, talvolta una vera e propria dipendenza
Il termine “doomscrolling” deriva dall’unione di due termini inglesi: doom/sciagura e scrolling/scorrimento. Si tratta di un neologismo coniato nel 2020 in piena pandemia per descrivere il comportamento di chi continua a “scrollare” sui social o sulle pagine di un sito, spesso alla ricerca di notizie cattive, in un circolo vizioso che a volte rischia di diventare compulsivo.
Il doomscrolling oltre la necessità di informarsi
Scorrere compulsivamente le notizie o i post sui social è molto diverso dal cercare notizie in maniera razionale. Come potete immaginare, durante la pandemia questo comportamento era legato ad una sorta di “ossessione” per le cattive notizie, che portava al desiderio di cercarne altre, e altre ancora…
Il doomscrolling è complicato da frenare e può essere persino pericoloso. Gli psicologi lo chiamano “loop di dipendenza” per indicare quella modalità con cui si ripetono compulsivamente le azioni che caratterizzano la dipendenza stessa.
Dietro il doomscrolling
Solitamente questo comportamento è dettato da ansia, tensione e da un “corto circuito” dei meccanismi di controllo. In periodi come quello della pandemia o allo scoppio della guerra di Ucraina siamo stati tutti esposti ad una sovrainformazione rispetto a questi temi e la nostra angoscia è cresciuta.
Ma in realtà, facciamo doomscrolling anche alla fermata dell’autobus, mentre aspettiamo un amico, o quando siamo in un momento di preoccupazione. Si tratta di un gesto ormai “normale” nella nostra quotidianità, in cui “una notizia tira l’altra”, “un post tira l’altro” anche per compensare la noia che in certi momenti proviamo. E gli algoritmi dei social media sono peraltro progettati per alimentare questo meccanismo.
Quando lo scrolling diventa un problema
Lo scrolling diventa un problema quando è infinito, quando diventa un passatempo e genera altro malessere perché provoca sensazioni come frustrazione o impotenza di fronte al fatto di non riuscire a smettere o di ricominciare poco dopo.
In certi casi si rischia la dipendenza, proprio come accade per la ludopatia ad esempio. Una dipendenza legata alla gratificazione iniziale che genera questo comportamento, di cui poi si finisce per andare alla ricerca continua aumentando il tempo in cui si fa scrolling, in un circolo infinito. Così, lo scrolling diventa compulsivo e viene attuato per evitare ansia o disagio, per poi diventare esso stesso causa di tali sensazioni.
Come uscirne?
Se ci si accorge che lo scrolling è diventato compulsivo si possono attuare alcuni accorgimenti per ridurlo. Social network come Instagram consentono di impostare una notifica dopo il superamento di una certa quantità di tempo trascorsa al suo interno. In generale, il consiglio è quello di sostituire lo scrolling con altre attività, in maniera consapevole, dandosi delle regole o dandole agli adolescenti, che spesso tendono a rifugiarsi proprio negli smartphone per sfuggire alla noia. L’altro passo importante è risalire a ciò che davvero, a monte, ci provoca ansia o turbamento e che riversiamo nello scrolling compulsivo senza però affrontare consapevolmente.
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_Andrea Solari