Tra i problemi da risolvere insieme al cambiamento climatico c’è lo sfruttamento ad oltranza del suolo pubblico
Un trend in continua crescita e un problema di difficile risoluzione: il consumo di suolo in Italia non si arresta. I dati raccolti nell’ultimo report dell’Ispra (Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale) confermano l’aumento delle percentuali nel 2022 registrando un +10% rispetto al 2021 e rimettono in luce una questione sottovalutata e incompresa. La notizia riguarda l’intero territorio italiano ma alcune regioni in particolare dimostrano di aver un peso particolarmente rilevante.
L’importanza e il ruolo pubblico del suolo
Il suolo è uno degli elementi più preziosi in natura, trattandosi della crosta terrestre sulla quale gli esseri viventi consumano il loro tempo a disposizione. Essendo il risultato di un lungo processo di formazione per il 50% è composto da solidi, suddivisi in minerali di variabile entità e dimensione (45%) e sostanze organiche decomposte (5%) che nel tempo si sono amalgamate restituendo nutrienti essenziali per la fertilità della Terra. Il resto sono aria, acqua ed organismi viventi. Un suolo in buono stato è di fondamentale importanza per la prevenzione di disastri ambientali e fenomeni estremi. Il consumo eccessivo e incontrollato di suolo causa problemi di biodiversità e di degrado compromettenti per la funzione della crosta terrestre stessa. I tempi di ricostituzione di anche soli due centimetri di strato di suolo sono lenti, calcolabili in milioni di anni.
Eppure i rapporti degli enti nazionali preposti al controllo dello stato di salute della Terra parlano di un consumo di suolo che pare non placarsi, arrivando al picco degli ultimi quindici anni. Cemento e calcestruzzo coprono aree urbane sempre più estese. Sono 77 i chilometri quadrati in più rispetto all’anno precedente in Italia. In tutto ciò i rischi idrogeologici generati dal l’impermeabilizzazione di alte densità di superficie crescono esponenzialmente.
I dettagli regionali sul consumo del suolo
Il 7,14% del territorio italiano è coperto da suolo artificiale, pari a 21.500 km2. Se pensiamo che il 59% circa del territorio è considerato utilizzabile il rischio di degenerazione è alto e da tenere sotto stretto controllo.
Riprendendo i dati dell’Ispra possiamo notare quanto alcune regioni italiane contribuiscano in maniera più evidente al consumo di suolo. La Lombardia è la regione italiana più edificata in assoluto: 290.000 ettari di territorio è occupato, 908 in più rispetto al 2021. Ma è tutta la pianura padana ad essere protagonista.
La lettura dei numeri chiaramente cambia se valutiamo specifiche aree: province, città metropolitane, fasce costiere particolarmente riconosciute. Roma, Milano e Torino fanno la voce grossa, confermandosi le città metropolitane con la maggiore superficie di suolo artificiale consumata. Altre 11 città sono coinvolte nell’utilizzo di un quinto del totale di suolo artificiale italiano. Tra le fasce costiere esaminate, la Costa Adriatica gioca un ruolo predominante in questo cambiamento di territorio.
Ettari di suolo consumato tra cantieri,edifici, impianti fotovoltaici si dividono grosse fette di percentuali, con la discriminante che parte di questi ettari si trovano in aree sismiche o con pericolo di frana. Le aree agricole italiane piangono: 4500 ettari nell’ultimo anno sono stati cancellati con relativo impatto sul clima e perdita di servizi ecosistemici.
Cosa si può fare per limitare il consumo di suolo
L’Unione Europea e la commissione europea spingono per un azzeramento totale di consumo di suolo entro il 2050. Serviranno strategia e rigore: riutilizzo e rigenerazione di zone urbane degradate, bonifica e tutela di territori agricoli. Infrastrutture e costruzioni abitative dovranno essere per forza di cose ripensate seguendo le linee indicative di cui sopra. Un lavoro complesso, ma indispensabile. Sì, perché un suolo in salute contribuisce alla regolazione del clima, all’assorbimento dell’acqua, alla conservazione della biodiversità e alla conservazione del patrimonio naturale. Non possiamo permetterci di non perseguire l’obiettivo imposto dall’Unione Europea, urge una linea nazionale che mitighi le responsabilità di regioni e province.
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_Damiano Cancedda