Una tecnica di agricoltura protetta “al chiuso” in linea coi temi della sostenibilità e del risparmio. Scopriamo di più
Nel mondo viene riconosciuta come Vertical Farming, in Italia la chiamiamo agricoltura verticale, ovvero un insieme di tecniche che permettono di ottimizzare la coltivazione di specie vegetali per uso alimentare grazie ad un’impostazione verticale (quindi su più livelli) delle strutture preposte alla coltura. Questo insieme di tecniche rientra nella categoria delle tecniche al chiuso, che in sostanza si basano sul risparmio del suolo e dell’acqua con metodi idroponici e aeroponici. Si stima mediamente un risparmio di acqua del 95% con la tecnica a spruzzo diretta alle radici. Il consumo viene ulteriormente ridotto grazie a dei sistemi ipercontrollati di gestione delle risorse energetiche, idriche e nutrienti (fertilizzanti e antiparassitari compresi).
Dettagli sull’ agricoltura verticale
L’agricoltura verticale è tale soprattutto nel contesto delle grandi aziende in cui si produce in maniera intensiva e industrializzata, poiché nelle realtà piccole la componente tecnologica è minore. In queste grandi aziende, ma anche in quelle medie, la tecnica più utilizzata è quella idroponica. Nella coltivazione idroponica fuori suolo i nutrienti formati da sali minerali e acqua vengono irrorati in quantità specifiche per determinate specie vegetali. Gli impianti idroponici possono avere diversi sistemi di irrorazione (NFT, a goccia, floating, aeroponici) che sviluppati in verticale permettono il recupero delle sostanze nutritive in eccesso, poi quindi reimmesse in circolo per contribuire al risparmio generale dei consumi. Il numero di piante coltivabili per ogni metro quadrato di superficie nelle vertical farm è massimizzato grazie ai sistemi multilivello, a parete o a torre delle strutture.
Da dove nasce l’agricoltura verticale?
Ufficialmente l’agricoltura verticale nasce nel 2008 quando un libro del professore di microbiologia americano Dickson Despommier, chiamato “Vertical Farm: Feeding the World in the 21st Century”, cominciò a parlarne concretamente. Un libro a tratti utopistico ma interessante. Qualche anno prima però nel sud-est esiatico in via sperimentale alcune strutture già testavano le vertical farm, forse ispirate dalle“fattorie integrate” di Jhon Todd, un biologo canadese che nel libro “Progettare secondo natura” fu visionario nell’immaginare progetti con una spiccata sensibilità ecologica e futuristica. La prima azienda ad occuparsi di agricoltura verticale aprì nel 2012 a Singapore. La metropoli, in difficoltà con gli approvvigionamenti di ortaggi d’importazione, ebbe importanti benefici da questa nuova tecnica di coltivazione, rilanciando l’agricoltura e i mercati locali. Undici anni dopo il settore si trova in un momento di particolare espansione anche in Europa, con l’Italia in prima linea, fresca di apertura della più grande azienda al mondo di Vertical farming.
L’agricoltura verticale, è bene sottolinearlo, non è da considerarsi una sostituzione delle tecniche tradizionali, bensì un completamento di esse, poiché pensate per essere integrate in contesti urbani lontani dalle aree agricole. L’obiettivo, oltre il risparmio dei consumi di produzione, è quello di ridurre i costi di trasporto e prezzo di vendita sfruttando i concetti del kilometro zero. Ecco il segreto della sua rapida espansione. Tuttavia l’investimento iniziale ha dei costi importanti: si tratta pur sempre di tecnologia ed avanguardia. Ciò non toglie l’interesse generale verso la materia, sono tantissimi infatti i microimpianti, anche di natura hobbystica, che sfruttano la verticalità per la produzione dei propri ortaggi.
Sei appassionato di sostenibilità ed ecologia?
Segui il nostro blog e leggi le news in tema
_Damiano Cancedda