In Francia una proposta di legge punta ad introdurre un sovrapprezzo per i capi di fast fashion. Renderà i consumatori consapevoli?
Ha suscitato un certo interesse la notizia che in Francia si stia lavorando su una legge che prevede prezzi maggiorati per i capi delle aziende del fast fashion. Quello della “moda veloce”, infatti, è un settore che da tempo è finito sotto i riflettori dell’opinione pubblica mondiale per i tanti problemi che causa, dall’inquinamento ambientale allo sfruttamento dei lavoratori, senza contare la bassa qualità dei prodotti.
Ma anche se sono tantissimi i motivi per fare a meno del fast fashion nel mondo continua a crescere il numero delle persone che scelgono di fare shopping dai brand della “moda veloce e a buon mercato”. Come invertire la rotta?
Fast fashion: l’idea della “ecotassa”
Dalla Francia arriva la proposta di tassare (con un sovrapprezzo che, nell’idea del Parlamento d’oltralpe dovrebbe arrivare fino a 10 euro per capo) gli abiti prodotti dalle aziende del fast fashion. Questa, a ben vedere, è una proposta della quale si era già discusso in numerosi paesi della zona Euro, ma i francesi sembrano aver preso sul serio la questione e ciò ha determinato l’entusiasmo degli ambientalisti.
Con i soldi raccolti in questo modo, l’assemblea legislativa francese propone di finanziare lo smaltimento dei rifiuti tessili e le aziende che adottano modelli produttivi ispirati alla circolarità.
Quello della “ecotassa” (il sovrapprezzo o la penale per quelle aziende che hanno un forte impatto ambientale) è un modello che potrebbe essere sempre più applicato in futuro, anche a settori come l’automotive, la produzione energetica e l’agricoltura.
Un problema noto da tempo…
Una precisazione: il mondo non sta scoprendo oggi che l’industria della moda a buon mercato rappresenta un problema enorme per l’ambiente. Già nel 2020, infatti, un report UE denunciava come la produzione tessile avesse bisogno di moltissima acqua, raccontando che per fabbricare una maglietta di cotone servono 2.700 litri d’acqua dolce, una quantità che una persona adulta riesce a bere in più di due anni di vita. Lo stesso report spiegava come il tessile fosse il terzo comparto al mondo per consumo di risorse idriche e consumo di suolo.
Fast fashion: i danni all’ambiente
Ma non c’è solo il tema del consumo delle risorse idriche a far lievitare il costo ambientale dell’industria fast fashion. Vanno infatti considerati almeno altri due effetti negativi che questa economia ha sull’ambiente:
- Le emissioni di CO2: per dare un’idea di come il fast fashion incida sull’inquinamento atmosferico, basti pensare che già nel 2018 si calcolava che il comparto della moda veloce immetta in atmosfera oltre 4.000 tonnellate di CO2 l’anno. Numeri che rappresentano poco meno del 10% delle emissioni globali. Insomma, anche se molti non lo direbbero, lo shopping può avere ricadute estremamente rilevanti sulla qualità dell’aria e sul cambiamento climatico;
- La produzione di rifiuti: non bisogna infatti dimenticare che gli indumenti di bassa qualità (come quelli dell’industria fast fashion) hanno una breve durata e si trasformano velocemente in spazzatura. Infatti, la moda veloce produce 100.000 tonnellate di rifiuti l’anno. Quantitativi enormi di capi dismessi che poi finiscono nelle cosiddette città-spazzatura del terzo mondo.
Peraltro, come se non bastasse, anche i resi gratuiti che queste piattaforme consentono rappresentano ormai un enorme problema (ne abbiamo parlato nell’episodio 13 del nostro podcast Alto Voltaggio che puoi ascoltare qui).
Pensi che ormai tutto sia perduto?
Potresti essere un climate doomer… scoprilo qui!
_Matteo Donisi