Nel 2020 sono stati prodotti 2,24 mld di tonnellate di rifiuti. La maggior parte è prodotta in Occidente ma trattata in Africa e Asia in città spazzatura dove si muore per qualche dollaro
Milioni di persone sono coinvolte ogni giorno nella lavorazione e nello smaltimento dei rifiuti in enormi discariche tossiche sparse sia sulla terraferma che in mare, spesso in condizioni igieniche, sanitarie e sociali che poco hanno a che fare con l’umanità. Nelle città-spazzatura si sopravvive tra fumi tossici, malattie endemiche e violenza.
Produrremo sempre più rifiuti
Secondo il rapporto della World Bank nel 2050 produrremo 3,88 miliardi di rifiuti. Questa pericolosa tendenza rischia di mettere ancora più a rischio il fragilissimo equilibrio del nostro Pianeta, già in ginocchio dopo più di un secolo di inquinamento e di corsa incontrollata allo sfruttamento delle risorse. A subire le conseguenze maggiori, oltre alle specie vegetali e animali, sono gli stessi uomini.
A peggiorare la situazione ci ha pensato la folle corsa all’acquisto degli ultimi modelli di smartphone, tablet e computer. Insieme alla plastica che ha invaso anche il corpo umano, i rifiuti elettronici hanno occupato vaste aree urbane dell’Africa e dell’Asia, provocando danni irreparabili alla salute delle persone.
La nuova via dei rifiuti tra Africa e Asia
Nel 2017 il governo cinese ha vietato l’importazione della plastica generando un problema di trattamento e smaltimento dei rifiuti a livello mondiale. Chiusa la tratta verso la Cina, la plastica segue ora delle rotte alternative che stanno sommergendo intere città in Africa e in Asia.
Avete mai sentito parlare di Agbogbloshie? Probabilmente no. Eppure il vostro vecchio telefono potrebbe essere stato lì prima di essere bruciato.
Alle spalle del porto di Accra, capitale del Ghana, si trova la più grande discarica di rifiuti elettronici al mondo. Un’area piena di plastiche dove vengono rilasciate nell’aria sostanze tossiche a causa dei continui roghi, vista l’assenza di impianti di riciclaggio. Tutto intorno è pieno di baracche abitate da migliaia di persone che lavorano in discarica per meno di tre dollari al giorno e di bestiame che pascola tra i rifiuti.
La città spazzatura attira migranti da tutto il Ghana e dagli stati confinanti alla ricerca di rame e ferro da rivendere, oltre che dei rifiuti di maggior valore come i computer e i cellulari. Gli insediamenti precari aumentano di pari passo con l’arrivo senza sosta di tonnellate di rifiuti dai paesi più sviluppati (circa 50 milioni ogni anno) mentre l’inquinamento dell’aria, del terreno e delle acque del fiume non fa che peggiorare e rendere infernale la vita delle persone.
A 11 mila chilometri di distanza da Accra, sempre vicina alla linea dell’Equatore, troviamo un’altra città sommersa dai rifiuti, Jenjarom. Ma questa volta sembra esserci uno spiraglio per un lieto fine.
La città è solo una delle tante della Malesia che negli ultimi anni è stata trasformata in un deposito dove raccogliere e – soprattutto – bruciare tonnellate di rifiuti elettronici illegalmente.
Anche in questo caso si tratta di un’area vicina a un porto (Port Klang, il più grande del Paese asiatico) dove la plastica non riciclabile viene semplicemente bruciata o interrata, avvelenando il terreno circostante con conseguenze prevedibili sulla salute della popolazione locale. Rispetto alla situazione di Agbogbloshie, dove il dramma viene consumato alla luce del giorno con la collaborazione delle istituzioni, qui la denuncia dei cittadini ha permesso la chiusura di 33 fabbriche illegali. I fumi tossici sembrano essere spariti ma rimane il problema dello smaltimento delle oltre 17 mila tonnellate di plastiche sparsi per la città.
Mansheya Nasir, un caso particolare
Nella parte orientale del Cairo ci sono diverse città nella città. Dopo la Garden City, il quartiere internazionale della capitale si arriva al labirinto di Qaraf, il più antico cimitero della città ancora in uso, dove tra le lapidi e le tombe si sono sviluppati interi quartieri abitati da almeno un milione di persone.
Al di sopra della Città dei Morti si trova quella della spazzatura, Mansheya Nasir, colonizzata da quei cittadini che nel tempo sono stati cacciati via dai due quartieri che la precedono.
In questo posto la spazzatura è una risorsa. Sono carenti i servizi essenziali come l’erogazione di acqua, la rete fognaria e l’elettricità nelle case, eppure la spazzatura non manca: nei cortili, tra le vie, ma anche all’interno delle case, i rifiuti invadono ogni spazio libero della cittadina.
Ogni giorno gli abitanti trasportano a Mansheya Nasir la metà della spazzatura prodotta dai cittadini del Cairo su camion, automobili e carretti improvvisati. Qui ogni giorno vengono recuperati e sminuzzati per poi essere riciclati e rivenduti.
Un’intera comunità che ha trovato nei rifiuti il business che stimola l’economia locale. Decine di aziende con migliaia di dipendenti che quotidianamente riciclano l’85% della spazzatura trattando fino a 16 materiali diversi.
Gli zabbalin, ovvero i raccoglitori di spazzatura, sono principalmente cristiani copti, una minoranza discriminata che si è specializzata nella raccolta dei rifiuti “grazie” alla propria religione. Di fatto, a partire dalla grande emigrazione dei primi anni del Novecento, questa era una delle poche attività non vietata alla comunità.
In passato allevatori nelle campagne, oggi sfruttano la presenza di maiali nel quartiere (gli unici ammessi in tutta la città per via dei dettami della religione islamica) anche per il business dei rifiuti: ogni giorno ai suini viene infatti data in pasto la parte organica dei rifiuti.
Lo sapevi che l’arte può nascere anche dai rifiuti?
Scopri come a Peccioli hanno trasformato una discarica!
_Simone Picchi