Un secolo dopo, la Prima Guerra Mondiale continua a fare danni (questa volta ambientali): trovate elevate concentrazioni di metalli pesanti nelle acque alpine e nella fauna
L’eco delle due Guerre Mondiali non smette di farsi sentire anche a un secolo di distanza. I segni che i conflitti hanno lasciato sul mondo e nella società, infatti, talvolta tornano ad affiorare e ci ricordano quello che è stato un tragico e recente passato. Forse qualcuno ricorderà, per esempio, il caso del carro armato pescato nel fiume Po a metà 2022. Oggi un gruppo di scienziati ha cercato (e trovato!) tracce dei metalli utilizzati per gli armamenti del primo conflitto mondiale nelle acque dei fiumi delle Alpi e in particolare nell’organismo degli insetti che li popolano.
I risultati: arsenico, piombo e zinco
Lo studio è stato condotto dal Museo delle Scienze di Trento, in collaborazione con l’Università dell’Ohio e con il sostegno della Fondazione Cogeme ETS. I ricercatori si sono concentrati sull’analisi chimica delle acque di tre ghiacciai alpini (Amola, Lares e Presena) e sulla ricerca di metalli pesanti nelle larve degli insetti che ne costituiscono la fauna.
Risultato: i metalli di derivazione bellica (quelli utilizzati prevalentemente per utensili, armamenti e artiglieria) sono stati rinvenuti sia nelle acque di fusione dei ghiacciai che ne nelle specie animali analizzate. Sono ben 31 gli elementi identificati, si parla per lo più di metalli e metalloidi come arsenico, uranio, zinco, cadmio, nichel, piombo, litio, rame e antimonio. Questi sono stati ritrovati in quantità decisamente superiori alla norma e potenzialmente pericolose per gli ecosistemi su cui impattano. Le larve analizzate, infatti, hanno fatto riscontrare un accumulo di sostanze nocive fino a novantamila volte superiore rispetto alla concentrazione riscontrata dall’analisi dell’acqua.
Un potenziale pericolo per l’ambiente alpino
Insomma, la ricerca ha comprovato che i metalli bellici usati per gli armamenti si stanno diffondendo negli ecosistemi alpini a causa del maggiore scioglimento dei ghiacciai. Un dato che non può che preoccupare, soprattutto se si tiene conto che l’Europa si sta riscaldando più velocemente degli altri continenti. Sostanze inquinanti che, liberate nelle acque di fusione del ghiaccio, vanno poi a contaminare flora e fauna glaciale.
Insomma, a distanza di oltre un secolo, proiettili, cannoni, fucili, bombe, mine e filo spinato continuano a fare danni sulla corona alpina. Una consapevolezza che dovrebbe anche incentivare una riflessione più seria sull’impatto ambientale dei conflitti. Tematica spesso sottovalutata ma che invece dovrebbe occupare un ruolo centrale nel dibattito pubblico internazionale, soprattutto in tempi di elevata tensione internazionale.
Gli (inquietanti) scenari futuri
In conclusione, lo studio ha mostrato come le sostanze nocive (o che diventano nocive per l’eccessiva concentrazione) siano state bioaccumulate maggiormente nelle aree più prossime alle zone di guerra. Restano da vedere – e questo apre a preoccupanti prospettive future – gli effetti concatenati a tutto ciò che potrebbero essere (e, verosimilmente, saranno) riscontrati nelle aree più a valle. La ricerca su un possibile disastro ambientale causato sulle Alpi dalla Grande Guerra è appena iniziata.
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_Matteo Donisi