Benessere psichico, rischio burnout, work-life balance e sostenibilità ambientale: cosa sono il “climate quitting” e il “quiet quitting”
Le giovani generazioni (in particolare la Generazione Z) stanno riscrivendo il modo di intendere il lavoro. Quella in atto è una vera e propria rivoluzione culturale, che propone un maggiore equilibrio tra vita privata e lavorativa (work-life balance) in opposizione alla hustle culture (l’idea che l’uomo trovi la sua vera realizzazione dedicandosi pienamente al lavoro).
Negli ultimi anni il cosiddetto “quiet quitting”, accompagnato negli ultimi dal “climate quitting” (legato alla nuova sensibilità rispetto alla sostenibilità ambientale) è diventato un vero e proprio fenomeno… Ma cosa significano esattamente questi termini?
Cos’è il quiet quitting
Per quiet quitting si intende un approccio più disimpegnato al lavoro: rifiutare gli straordinari, defilarsi da tutte le mansioni non specificamente previste nel contratto, lavorare quanto basta senza strafare per crescere professionalmente. Tale fenomeno può anche trasformarsi nel rifiuto di posizioni lavorative (ed aziende) che richiedono un approccio stacanovistico.
Tutto ciò perché, come si è detto, per la Generazione Z non sono denaro e carriera le priorità, quanto piuttosto un bilanciamento tra un lavoro poco stressante e una soddisfacente vita privata.
Com’è nato il quiet quitting
Quando si parla di quiet quitting bisogna tener presente che ci si trova di fronte a un fenomeno estremamente giovane, che negli ultimi anni sta diventando molto più che una tendenza giovanile: è una profonda rivoluzione culturale. I fattori che lo hanno determinato sono indubbiamente legati agli effetti della recente pandemia: moltissimi giovani hanno infatti iniziato a dare maggiore importanza alla vita privata ed affettiva, sviluppando un forte timore degli effetti collaterali dello stacanovismo lavorativo, soprattutto stress patologico da lavoro e burnout.
Insomma, è evidente che la pandemia abbia acceso un riflettore sulle dinamiche del mondo del lavoro, illuminandone gli aspetti più oscuri e proponendo un modello differente, caratterizzato da maggiore equilibrio e flessibilità. Tanto che oggi, per esempio, si dibatte sull’effettiva convenienza ed efficacia dello smart working e di altre soluzioni analoghe.
Cos’è il climate quitting
Al quiet quitting si sta affiancando, inoltre, una nuova pratica che prende il nome di “climate quitting” e che indica la scelta di dissociarsi da aziende poco sostenibili. Sempre più lavoratori, soprattutto giovani, pretendono infatti un’occupazione in società che fanno della salvaguardia ambientale uno dei propri pilastri valoriali. Così in tanti si licenziano dalle aziende poco virtuose (o rifiutano le loro proposte di lavoro) per sceglierne altre più in linea con la propria visione etica. Una tendenza che sta spingendo manager e recruiter a investire risorse per far apparire le proprie aziende sempre più green e inclusive.
Quanto conta la sostenibilità
per i consumatori italiani? Scoprilo qui
_Matteo Donisi