Interpretare la realtà
Una volta il filosofo Friedrich Nietzsche scrisse che non ci sono fatti, ma solo interpretazioni. La frase, diventata celeberrima anche al di fuori dell’ambiente accademico, ha sollevato diversi dubbi sulla sua bontà e, a causa del dibattito a cui ha dato luogo, è diventata probabilmente la frase più identificativa del filosofo tedesco. Non voglio addentrarmi in una complessa analisi della celebre frase in questa sede poiché esula dai miei intenti. Verosimilmente il filosofo intendeva dire che chiunque, nel momento stesso in cui percepisce la realtà, non può fare a meno di interpretarla secondo le proprie credenze e convinzioni. Dunque, come scrive Umberto Galimberti, “Nessuno di noi abita il mondo, ma esclusivamente la propria visione del mondo”. Oggi vorrei quindi interrogarmi sul se e sul come le diverse interpretazioni possono modificare i fatti stessi e il soggetto percipiente focalizzandomi sul tema della prestazione sportiva. C’è un modo migliore per approcciarsi ad una disciplina sportiva al fine di ottenere risultati migliori?
Il potere del dialogo interiore
Ormai sappiamo che sia il dialogo interno che quello esterno, sono in grado di attivare reazioni ormonali, neurologiche, metaboliche ecc. che noi percepiamo in seguito a livello di emozioni.
Inoltre l’emozione, a sua volta, amplifica, riduce o distorce le percezioni e dunque “percezioni ed emozioni si influenzano vicendevolmente in un continuo processo interattivo di causalità circolare”. Di conseguenza quello che pensiamo relativamente ai fatti diventa determinante ai fini della prestazione sportiva. Anche Nietzsche ne La Gaia Scienza scrisse “Quanto manca alla vetta? Tu sali e non pensarci!” che possiamo interpretare come un invito del filosofo a eliminare gli ostacoli che la mente frappone tra noi e i nostri obiettivi.
Dunque, così come possiamo autosabotarci attraverso alcuni pensieri, possiamo spronarci attraverso altri. “Indurre emozioni, quindi, passa necessariamente per l’uso sapiente del comunicare con se stessi e con gli altri”. Vediamo in che modo.
Strategie per migliorare la propria prestazione
Come punto di partenza invece di chiederci “Ce la farò?” chiediamoci direttamente “Come ce la posso fare?”. In questo modo si crea una molla per l’azione valida in qualsiasi frangente della vita. L’azione si può sempre considerare positivamente infatti “credere poco in sé, rinunciando a mettersi alla prova per dimostrare il contrario, non fa che confermare una presunta incapacità, sino a renderla reale”. Chi non si mette mai alla prova per paura di sbagliare o fallire non fa altro che coltivare la propria incapacità, facendo avverare quella che fino a quel momento era solo una paura: quella di non riuscire. Il fallimento invece insegna ed è un gradino imprescindibile verso il miglioramento. C. G. Jung scriveva che chi evita l’errore elude la vita. Insomma, quando ci ripetiamo che non ce la faremo stiamo creando ciò che ci spaventa e poi lo subiamo. Anche in questo caso ritorna il parallelo con il Bushido: “Dobbiamo iniziare ad amare l’errore se vogliamo evolvere: sette volte cadi e otto rialzati. Perché ogni errore commesso porta con sé una o più lezioni”.
Con questo non voglio dire che basti pensare positivo per raggiungere i risultati sperati. Anzi, illudersi di poterlo fare è controproducente poiché, qualora non si raggiungano, subentrerà un senso di delusione e frustrazione. Ciò che è necessario fare è progredire poco alla volta infatti “il pensare positivo funziona bene solo quando si hanno già esiti di successo: in questo caso, amplifica la fiducia nelle nostre risorse già espresse nei fatti. Ciò significa incrementare gli sforzi sulla base di un’efficacia comprovata, proprio all’opposto di un’aspettativa illusoria e volontaria”.
Un altro rischio è costituito dal paragonarsi agli altri: è necessario valutare i propri progressi e alzare l’asticella sempre di più in base alle proprie capacità. Strafare nel tentativo di eguagliare o superare qualcuno può portare oltre che a danni fisici, frustrazione e delusione. Un atleta più forte può essere però utilizzato strategicamente come modello da raggiungere: avere un obiettivo ben chiaro e misurare i progressi tendenzialmente contribuisce a mantenere alto l’umore e ci conferisce la determinazione per proseguire. Infatti, come scrive Maurizio Crosetti parlando di Lance Armstrong “gli avversari non sono fuori, ma dentro di lui”. E come sono dentro di lui sono dentro anche a ognuno di noi.
Nel bushido si sviluppa anche il concetto di muga ovvero di non sé: l’intervento della mente e la comprensione razionale infatti sono fonti di interferenza nella disciplina. Il concetto di annullamento del sé, così avulso dalla nostra cultura, si ritrova invece proprio nello sport essendo niente di meno che la trance agonistica.
Un altro metodo efficace per indurre emozioni può essere ascoltare la musica. La musica si rivela uno stimolo potentissimo per indurre emozioni e stati d’animo positivi attenuando quelli negativi. Inoltre può innescare quella che in psicologia viene chiamata dissociazione. La musica ha il potere di distrarre i pensieri dalle sensazioni di fatica alterandone la percezione.
La psicologia dello sport
Spero di essere riuscito a dimostrare che l’approccio mentale con cui si affronta una performance sportiva si rivela determinante per il benessere dell’atleta e si ripercuote sulla qualità della prestazione. Quelli che ho portato sono solo alcuni esempi di come si possono indurre emozioni che facilitano la prestazione. Ovviamente la letteratura scientifica trabocca di pubblicazioni a riguardo, e ha creato un filone della psicologia dedicato allo sport, definendo così quanto sia imprescindibile per un atleta il saper gestire la propria mente.
_ di Nicola Muratore