Un’idea nata per aiutare il Pianeta che si è trasformata in un incredibile disastro ambientale
Si chiama Osborne Reef e nelle intenzioni di chi l’aveva progettata avrebbe dovuto essere una meravigliosa barriera corallina artificiale. Qualcosa, però, non è andato secondo i piani. Il suo nome resta tuttora associato ad uno dei più clamorosi disastri ambientali del XX secolo. L’idea era quella di ampliare una barriera corallina utilizzando milioni di pneumatici vecchi o difettati… cosa avrebbe potuto andare storto? Domanda retorica, ovviamente. Ma andiamo con ordine e capiamo come sia potuto accadere tutto ciò.
Com’è nata la Osborne Reef: il progetto iniziale
Tutto ebbe inizio nel 1972, quando un’azienda statunitense propose la costruzione di una barriera corallina artificiale al largo della costa di Fort Lauderdale, in Florida. Il progetto prevedeva l’impiego di vecchi pneumatici che avevano bisogno di essere smaltiti e avrebbe dovuto, teoricamente, avere una precisa finalità ambientale: “riciclare” gli pneumatici, che a terra rappresentavano un fastidioso inquinante, utilizzandoli per realizzare una enorme barriera artificiale in grado di attirare fauna marina in quel tratto di costa. Così, nella primavera del 1974 centinaia di privati misero a disposizione le proprie imbarcazioni per posizionare migliaia (e poi milioni) di pneumatici sul fondale marino. La fase cruciale del progetto fu il deposito di oltre due milioni di pneumatici, a una profondità di circa 20 metri sotto il livello del mare su una superficie di oltre 15 ettari. Questi, per dare stabilità all’infrastruttura, erano per lo più legati tra loro con clip d’acciaio, una scelta che svolse un ruolo decisivo nella trasformazione dell’opera in un incredibile disastro ambientale.
Da idea interessante a disastro ambientale
In effetti, i progettisti non avevano prestato la dovuta attenzione alla tenuta di tali legacci d’acciaio: molti di questi, infatti, finirono ben presto per corrodersi e milioni di pneumatici finirono in balia delle forti correnti oceaniche. Queste disarticolarono la Osborne Reef e trasformarono i singoli pneumatici in “proiettili” schiantati con violenza sulle barriere coralline naturali presenti nella zona, creando danni talvolta irreparabili agli ecosistemi marini della Florida. Inoltre, questa anomala mobilità della struttura impedì alla flora e alla fauna marina di agganciarsi all’insolita barriera artificiale. È evidente che oggi, con la moderna sensibilità ambientale, chiunque saprebbe prevedere l’esito disastroso di un progetto del genere, ma all’epoca la Osborne Reef venne considerata un’avveniristica infrastruttura green. Nessuno avrebbe nemmeno potuto prevedere che la dispersione di materiali plastici nei mari sarebbe stata una delle principali problematiche ambientali del secolo successivo (tanto che qualcuno ha creato un museo di archeoplastiche ritrovate in mare).
Le attività di bonifica
I progetti di bonifica e pulizia dei fondali contaminati iniziarono solo nel 2007, sotto il coordinamento dell’esercito degli Stati Uniti d’America. Una notevole accelerata si ebbe dopo il 2015, quando in meno di cinque anni, grazie all’affidamento del lavoro a un’azienda privata, venne rimosso circa un terzo degli pneumatici della Osborne Reef. Il costo di tali operazioni è stato di circa 1,1 milioni di dollari l’anno, per un’operazione di recupero che ha previsto lo smaltimento di circa 3.000 pneumatici a settimana.
Sapevi che anche nel Mediterraneo
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_Matteo Donisi