I nostri smartphone generano comportamenti inconsci che sono stati paragonati alla psicologia dei camaleonti
Tra tutte le sindromi (intese più come psicosi o patologie derivanti da questioni esistenziali e/o personali) dai nomi bizzarri che possiamo annoverare nella lista dei fenomeni psicologici troviamo una serie di effetti veramente particolari: mai sentito parlare dell’effetto Ben Franklin? Un principio che parte dal presupposto che chiedere un favore per farsi piacere sia meglio che fare un favore per piacere agli altri. Contorto? Sì, ma reale. Ebbene, allo stesso modo esiste anche l’effetto camaleonte? Proprio su questo curioso fenomeno facciamo un piccolo approfondimento.
Che cos’è l’effetto camaleonte?
Partiamo da un’ovvietà: c’entra il mimetismo ma non l’invisibilità. Non c’è bisogno di immaginarsi come degli squamosi rettili solitari e territoriali, così come non è il caso di iniziare a nutrirsi di insetti pensando di essere preda di una patologia che alcuni chiamano, a torto, effetto camaleonte… L’effetto camaleonte è un prodotto dell’inconscio che ci porta ad imitare emozioni ed espressioni altrui. Si tratta di una sorta di segnale che capta l’influenza che un gesto, un movimento e più in generale un linguaggio risvegliano in noi.
Attenzione, non stiamo parlando di un effetto da considerare necessariamente come negativo, basti pensare all’influenza contagiosa di una risata. Spesso si ride solamente nel guardare un amico che inizia a ridere. Ecco, sono i neuroni a specchio a spingerci in questa sfacciata imitazione. Ciò che facciamo è semplicemente adattarci ad uno stato emotivo che si propaga intorno a noi e che come un virus si introduce nel nostro inconscio. Il risultato è quello della mimetizzazione nel contesto. Dicevamo che non si tratta di un effetto negativo, ma può diventarlo se le circostanze alimentano emozioni spiacevoli. Curiosità ulteriore: Spesso siamo proprio noi a sollevare l’onda dell’effetto camaleonte. Parliamone.
Tutti a testa bassa: smartphone ed effetto camaleonte
Ma quindi, riprendendo il titolo, cosa c’entrano gli smartphone con l’effetto camaleonte? C’entrano eccome. Immaginate di essere in una sala d’attesa (una qualunque, dal dottore magari). Chiedetevi cosa vi ha appena spinto ad abbassare la testa verso lo smartphone e ad utilizzarlo senza uno scopo preciso. Quello che accade non è per forza il sintomo di una dipendenza rigida da social network o qualcosa di simile, tutt’altro: spesso – non sempre ad onor del vero – è semplicemente l’effetto camaleonte che sta agendo sul nostro inconscio.
Perché? Il nostro vicino di sgabello, pochi secondi fa, ha estratto il cellulare dalla tasca e ha cominciato a messaggiare freneticamente. Noi, influenzati da questo gesto, ci comportiamo alla stessa maniera. In un flash, senza rendercene conto. Si tratta di una dinamica simile a quella dello sbadiglio: contagiosissimo. In pochi secondi tutta la sala potrebbe aver compiuto lo stesso gesto. Alzare lo sguardo qualche istante dopo rivela uno scenario desolante. Tutti a testa bassa, col telefono in mano. Almeno il 50% delle persone potrebbe essere stata vittima del camaleonte.
Una buona notizia in questa apparente decadenza c’è in realtà: Google sta testando da diverso tempo una funzione legata al benessere digitale chiamata “Heads up”, pronta a dirci “Hey, solleva lo sguardo quando cammini”. Aspettiamo una variazione sul tema tipo: “Hey, solleva lo sguardo in sala d’attesa!”.
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_Damiano Cancedda