Concreta risposta al cambiamento climatico o artifizio che rischia di incrinare ulteriormente il rapporto tra Uomo e Terra?
Ci sono parole che spaventano senza una ragione precisa. Sarà per l’etimologia, sarà che risultano incomprensibili o complesse all’apparenza, sarà che attirano un certo tipo di complottismo, attratto da tutte quelle teorie scientifiche globali potenzialmente utopistiche o catastrofiche che coinvolgono gli uomini e i loro destini. La parola geoingegneria affascina, incuriosisce e spaventa. E se diventa pure climatica, beh, allora bisogna fermarsi e capire, perché il rischio di allarmare tutti è alto. Di cosa parliamo davvero quando si discute di geoingegneria climatica? Proviamo a sciogliere qualche dubbio.
La promessa della geoingegneria climatica
Quando una parola inizia con il prefisso geo, stiamo per forza parlando di qualcosa che interessa il globo terrestre: geo = terra. Negli ultimi tempi si parla tanto di geopolitica così come di geoingegneria climatica. Due discipline che trattano le vicende della Terra nel suo insieme. La prima, attraverso lo studio dei fattori geografici e politici cerca di definire la traiettoria dei popoli sul lungo termine, la seconda invece tenta di offrire soluzioni tecnologiche su scala globale per contrastare le cause dei problemi generati principalmente dai cambiamenti climatici. Il riscaldamento globale, uno dei sintomi più evidenti del cambiamento climatico, è un tema connesso alla geopolitica. Le traiettorie dei popoli sono infatti influenzate dal clima. Uno sconvolgimento climatico modifica la geografia, attiva le migrazioni e scatena guerre sanguinarie per accaparrarsi la scarsità delle risorse terrene altrove. Qui l’intervento della geoingegneria climatica e della sua promessa: modificare il clima e le condizioni metereologiche in maniera strategica per riequilibrare all’occorrenza lo svolgersi regolare delle cose. Detta così sembra una mission facile e anche un po’… malefica. Tutt’altro. Si tratta di ricerca, e le prove sul campo sono di difficile realizzazione. Per questo in sostanza la geoingegneria climatica viene ancora vista da molti solo come una teoria.
Un piano di geoingegneria climatica su vasta scala esiste: abbassare le temperature grazie ad un’iniezione di aerosol stratosferica per esempio. Fattibile ma difficile. E con un grosso rischio geopolitico sullo sfondo qualora alcuni Paesi decidessero autonomamente di mettere in pratica un piano di geoingegneria climatica del genere su piccola/media scala. Un altro piano prevede la riduzione delle radiazioni solari: complesso e incompreso. Basti vedere le reazioni sul progetto di schermatura pensato da Bill Gates. Se ne parlerà di nuovo molto presto comunque.
L’inseminazione delle nubi locali e la dispersione della nebbia non possono essere considerati progetti di geoingegneria climatica bensì piccoli esperimenti al limite dell’insignificante se non addirittura nati già morti. Per questo tantissime società grazie anche al supporto dell’IEA (agenzia internazionale per l’energia) si stanno concentrando sull’espansione di piani concreti, replicabili e già in essere. Vediamone uno.
Mammut: un progetto di geoingegneria
Tra i progetti di geoingegneria climatica ce n’è uno molto interessante in Islanda che riguarda lo stoccaggio di anidride carbonica.
Mammut, così si chiama l’impianto, è una sorta di successore di Orca, struttura capace di assorbire 4.000 tonnellate di Co2 all’anno grazie a un blocco di ventilatori alimentati da un impianto di energia geotermica. L’anidride carbonica assorbita viene iniettata nelle profondità terrene e mescolata con acqua, per poi essere demineralizzata e trasformata in roccia. Mammut non farà altro che decuplicare le tonnellate di Co2 assorbite da Orca. In verità l’obiettivo delle emissioni zero (ovvero l’assorbimento di circa un miliardo di tonnellate di Co2) anche con Mammut resta un miraggio, anche per via dei costi di realizzazione delle singole strutture. Gli impianti di Carbon Capture nel mondo sono 20, il primo venne costruito nel 2017 dalla società svizzera Climeworks, la stessa di Mammut. Il loro contributo alla causa è per ora risibile, ma il sogno sarebbe quello di riuscire a raggiungere le emissioni zero entro il 2050. Servirà uno sforzo collettivo importante ma la diffusione capillare di questo tipo di progetti non è agevole, anche per via del forte scetticismo che accompagna il tema del riscaldamento globale. C’è chi non si arrende però: gli iinvestimenti in energia pulita crescono in tutto il mondo.
La geoingegneria climatica è quindi uno spauracchio o una risorsa? Certamente una risorsa, se lasciata in mano a chi davvero ha a cuore le sorti non solo del Pianeta ma anche dei suoi simili: noi.
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_Damiano Cancedda