I dati indicano l’Italia come fanalino di coda in Europa, con un paese ancora poco ricettivo verso lo sviluppo tecnologico.
Il coronavirus ha messo in ginocchio anche la tecnologia, se non soprattutto il settore IT. D’altronde si sarebbe dovuto tenere a fine febbraio il Mobile World Congress, la più importante kermesse europea per l’annuncio delle novità che arrivano tanto dall’Asia quanto dal vecchio continente, senza dimenticare anche gli Stati Uniti. Tra i nuovi accessori, accanto agli smartphone di ultima generazione, erano pronti anche i modem portatili 5G e numerose altre componentistiche adatte per dare il benvenuto alle nuove reti, che pur essendo disponibili da quasi un anno, stentano a trovare spazio e margine nel nostro Paese.
L’arrivo del 5G in Italia
Era luglio 2019 quando OPPO, in collaborazione con Tim, presentava a Roma il suo primo device abilitato al 5G, l’OPPO Reno 5G: all’inizio la più complessa delle aggravanti dal punto di vista dell’utilizzo della nuova tecnologia di connessione era legata alla diffusione circoscritta a sole tre città (Torino, Milano, Roma), mentre con l’andare avanti dei mesi ci si è resi conto di come l’implementazione fosse molto più difficile di quanto si pensasse. Partiamo con lo specificare che, al netto di tutti i contro che sono stati snocciolati nel corso dello scorso anno riguardanti i problemi legati alla salute e alla sicurezza, il 5G è effettivamente un passo in avanti per la tecnologia e per la connettività: parliamo di uno standard che assicura una velocità di trasmissione dati molto elevati, con dei valori che andranno a tenersi intorno ai 1,4 GB al secondo, privi di latenza e con dei tempi di risposta quindi inesistenti, che permetteranno una connessione simultanea di centinaia di dispositivi senza creare ingorghi di rete. Una vera e propria rivoluzione, che per adesso l’Italia non è riuscita ad accogliere nel proprio paese.
La connettività italiana
Gli operatori telefonici in Italia si sono già mossi per fare in modo che le infrastrutture fossero pronte a ricevere la nuova connettività: Vodafone e Tim sono state le prime che hanno guardato verso il futuro, andando anche a supportare l’arrivo sul mercato di alcuni smartphone dedicati al 5G, come il già citato modello di OPPO. Lo sforzo realizzato dagli operatori chiamati in causa ha portato il numero delle città ricettive al 5G ad aumentare da tre a dieci, aggiungendo anche centri come Sanremo, Brescia e Monza accanto a città ben più grandi come Firenze, Napoli, Bologna e Genova. Nei prossimi mesi verrà allargata la rete anche verso Verona, Ferrara, Matera e Bari, fino ad arrivare a 120 città entro il prossimo anno, come assicurato anche da parte di Tim. Restano, però, i problemi più comuni e immaginabili che attraversano il nostro paese, ossia una vasta area da mappare e da coprire del territorio che ancora fatica a raggiungere connessioni pari a quelle dei grandi centri abitati: basti pensare che soltanto negli ultimi anni l’Italia è riuscita a raggiungere una copertura del 90% per quanto riguarda la fascia di connessione a 30 Mbit al secondo. Decisamente più in affanno, però, la percentuale riguardante le connessioni in grado di superare i 100 Mbit al secondo, che è pari al 24%: valore decisamente inferiore, più della metà, rispetto al 60% europeo. Non più un problema di platea, perché le sottoscrizioni sono sensibilmente aumentate nel corso di questi anni, con la penetrazione della fascia 30 Mbit al secondo che è aumentata, arrivando al 24% contro il 41% dell’Europa: per la fascia dei 100 Mbit, invece, si raggiunge il 9% contro il 20% dell’Europa. È facile capire, insomma, che gli italiani non sono così ricettivi come lo sono invece i cittadini del resto d’Europa, ma i dati parlano di un miglioramento e di una maggiore sensibilità nei confronti dell’utilizzo di una connessione veloce.
Lo scetticismo provocato dal 5G
A fronte di tale aspetto è facile immaginare come l’inserimento di una connettività come il 5G risulterebbe non solo ridondante per la maggior parte degli italiani, soprattutto se i costi da affrontare dovessero essere elevati, ma che allo stesso tempo il territorio non aiuterebbe gli operatori ad avere una maggiore capillarità nella diffusione. Si rinnova quindi l’annoso problema che si ricollega alla difficoltà dell’Italia a rendersi un paese digitale e operare quel processo di digitalizzazione che sta rallentando, in molti aspetti, anche lo sviluppo della pubblica amministrazione: d’altronde il 5G promette da sempre di essere un driver di sviluppo strategico, andando a portare benefici dal punto di vista della flessibilità, della scalabilità, della bassa latenza e di conseguenza anche della sicurezza. Intanto, però, ci sono alcuni centri cittadini che hanno deciso di bocciare l’inserimento del 5G nelle proprie strutture, rallentando così lo sviluppo tecnologico del paese, o quanto meno di parte di esso. Ne è un esempio quanto accaduto a Racale, in provincia di Lecce, dove il sindaco ha deciso di respingere la richiesta di Iliad di installare due antenne per il 5G: pur non avendo riscontrato pareri contrari da parte dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale, il primo cittadino di Racale ha preferito agire in maniera precauzionale e interrompere qualsiasi tipo di lavoro. Le antenne avrebbero coperto solo una piccola porzione di territorio e soprattutto il potenziale pratico sarebbe stato molto basso rispetto al massimo teorico, a detta del sindaco, che ha immediatamente riportato in auge i discorsi riguardanti la sicurezza e la salute dei cittadini stessi.
L’opposizione all’innovazione
Opporsi alla rete 5G in Italia, purtroppo, è un fenomeno che appartiene ai più e per lo più da un anno. Eppure l’Oms ha avuto modo di tranquillizzare i cittadini europei a più riprese, dichiarando che i campi elettromagnetici dei ripetitori del 5G non avrebbero causato alcun tipo di danno, anche a fronte dei limiti elettromagnetici stessi che la legge ha imposto in Italia: se da un lato questi creano un problema di costi e prestazione, dall’altro fanno in modo che le emissioni non siano eccessive e quindi dannose. Il massimale imposto per l’Italia è di 6 volt per metro, a fronte di una media europea che viaggia tra i 41 e i 58 volt a metro, mentre negli Stati Uniti si arriva addirittura a 61 V/m. Questo vuol dire che anche l’installazione dei ripetitori è molto complessa, richiedendo una preventiva misurazione dell’inquinamento elettromagnetico della zona, il che crea una problematica importante per lo sviluppo del 5G. Insomma, tutte tematiche che devono tener conto di interessi di terzi, ma che non pensano al futuro tecnologico del Paese: sulla bilancia andranno messe le due necessità e sviluppata una strategia tale che permetta agli operatori da un lato di potenziare le connettività del nostro paese e dall’altro all’Italia stessa di capire che direzione voler prendere per il suo futuro.
_ di Mario Petillo