Smart working e distanziamento sociale saranno la regola per mesi: servono ambienti sicuri ma accoglienti
Siamo ufficialmente entrati nel mondo post-Covid. Dopo le prime fasi di lockdown ferreo, la ripresa sarà comunque all’insegna del distanziamento sociale e delle protezioni individuali. Si riuscirà mai a tornare alla vita di prima? Non possiamo dirlo con certezza, anche perché non è soltanto questione di regole ma di sensazioni: quanti di noi per mesi non si sentiranno sicuri seduti al tavolino di un bar o di un ristorante, o su un treno? Cambierà la fruizione degli spazi, domestici e urbani. Quel mix tra nuove regole e timori si traduce in nuove abitudini. Molti di noi si sono quasi abituati allo smart working, ma renderlo una consuetudine implica un ripensamento delle proprie abitazioni, che diventano luogo di lavoro non più provvisorio. Intanto, fuori dalle nostre case, gli esercizi commerciali e gli uffici pubblici reinventano i propri spazi per garantire la sicurezza ma risultare accoglienti. Le città stesse si stanno rimodellando per sfruttare tutto lo spazio possibile e metterlo a disposizione dei propri abitanti.
Ma non è così semplice, almeno finché non ci facciamo l’abitudine.
Una questione di prossemica
Edward T. Hall nel 1963 inventò il termine “prossemica” per indicare le regole di vicinanza tra persone. Individuò quindi alcuni tipi di distanza fisica:
- distanza intima (0-45 cm)
- distanza personale (45–120 cm): è l’interazione tra amici;
- distanza sociale (1,2-3,5 metri): è l’interazione tra conoscenti o tra insegnanti e alunni;
- distanza pubblica (oltre i 3,5 metri), tipica delle pubbliche relazioni.
È evidente che le regole di distanziamento sociale stabilite a partire dalla Fase 2 escludano ogni possibilità di ritornare a rapporti intimi e amichevoli che implichino baci, abbracci, effusioni se non tra partner già consolidati o al massimo familiari. Salvo sgarri, chiaramente.
Non sottovalutiamo il fatto di essere italiani: la nostra origine e il nostro approccio alla vita da sempre ci portano ad essere empatici, solari, “caldi”, e a doverci impegnare particolarmente nell’evitare strette di mano e contatti ravvicinati.
Ma le regole sono regole, ecco allora come in varie situazioni si sta procedendo, o si potrebbe procedere.
Smart working: l’ufficio in casa
Lo smart working nella maggior parte dei casi ha portato più vantaggi che svantaggi: più tempo libero, spostamenti ridotti, meno stress, meno inquinamento. Ma se diventa una regola bisogna trovare un modo di adattare gli spazi domestici per renderli una vera postazione di lavoro. Nell’epoca pre-Covid, salvo alcune categorie di lavoratori e salvo aziende illuminate, da casa si lavorava in occasioni particolari o soltanto per qualche giorno. E ci si arrangiava con i mezzi a disposizione. Se però le mura domestiche diventano a tutti gli effetti il luogo di lavoro quotidiano bisogna attrezzarsi: meglio un computer fisso che un laptop, l’illuminazione deve essere ottimale, occorre dotarsi di poltrone ergonomiche e così via. L’ideale sarebbe ricavare un angolino di casa da riservare al lavoro. Gli spazi vanno ripensati come uffici a lungo termine e non per tutti è semplice.
Ristoranti, bar e… aperitivi
Per gli esercizi commerciali la riapertura è stata una vera sfida. Teniamo da parte le procedure di sanificazione, che meriterebbero un discorso a sé. Pensiamo a bar e ristoranti. Prima l’asporto, poi i tavolini distanziati là dove si somministra cibo e la conseguente riduzione del numero di clienti che si possono accogliere. Chiaramente, mentre si consuma un pasto o anche soltanto un caffè, la mascherina non si può indossare o va spostata: ecco allora la soluzione dei 4 metri quadrati per cliente. Ma in certi casi non basta. Le barriere in plexiglass – che da subito sembravano la soluzione più efficace a contenere le droplet – portano con sé un alone di tristezza difficile da ignorare. Occorre creatività.
Qualcuno ha immaginato soluzioni che meglio si integrano negli ambienti e nell’arredamento e che risultano più gradevoli alla vista: piante e fiori a fare da barriere tra i tavolini, ad esempio. Oltre tutto, alzano anche il livello di privacy dei commensali.
In alcune situazioni però dovremo rassegnarci, almeno per alcuni mesi: niente buffet, niente pasti condivisi. Addio quindi agli happy hour in cui si vaga per i locali a caccia di cibo per accompagnare il proprio drink. Bisogna minimizzare i rischi di contagio: tutti seduti, il cibo arriverà al tavolo.
Le città mutano con i tempi
Se all’interno dei locali gli esercenti possono accogliere meno clienti, possono però approfittare del bel tempo per sfruttare i déhors e posizionare all’esterno i tavolini. In alcune città è stato già offerto l’utilizzo gratuito del suolo pubblico per consentire agli esercenti di proiettare all’esterno la propria attività senza affrontare un costo ulteriore, vista la situazione già critica. Allo stesso tempo, molte città hanno già ampliato le aree pedonali per favorire questa proiezione e ridare ai cittadini spazi preziosi che spesso purtroppo sono stati concessi in abbondanza ad auto e parcheggi. Buone notizie anche sul fronte delle piste e delle corsie ciclabili: molte città le stanno ampliando e stanno varando misure per incentivare la mobilità lenta, sulla scia dei bonus statali concessi per l’acquisto di mezzi quali biciclette e monopattini, valida alternativa per molti cittadini all’auto ma anche ai mezzi pubblici, che rappresentano un’altra incognita del post-Covid.
Problema scuole: quali spazi utilizzare?
Quello delle scuole è un problema diverso. In alcuni Paesi del mondo gli alunni sono stati trasferiti in spazi all’aperto per alcune settimane in modo da non interrompere le lezioni. E’ accaduto ad esempio in Danimarca già ad aprile. In Italia ci si sta pensando, ma la didattica a distanza nei mesi scorsi per qualcuno è stata uno scoglio invalicabile ed ha acuito in maniera vertiginosa il digital gap. Un problema enorme per le famiglie è anche quello di non poter contare su scuole materne e asili nido. Se sulla carta è complicato obbligare i bambini al distanziamento, a non avvicinarsi troppo agli amichetti e a restare in uno spazio ben definito, è anche vero che si può far leva sul gioco e rendere la situazione meno pesante, raggiungendo di fatto l’obiettivo del rispetto delle regole. Molti educatori ne sono convinti e auspicano una riapertura rapida a tutti gli effetti. Per ora tutto resta in sospeso, occorrerà sperimentare, mentre a tanti studenti purtroppo sarà negata l’ebbrezza dell’ultimo giorno di scuola prima della maturità, un ricordo che sarebbe rimasto impresso nella mente per tutta la vita.
Intanto si fa largo anche l’ipotesi di sfruttare per l’insegnamento spazi alternativi, dalle biblioteche ai palazzetti dello sport, per evitare che gli studenti si ritrovino accalcati. Potremmo essere vicinissimi ad una trasformazione che porterebbe i più giovani ad un contatto più ravvicinato con la natura: la didattica outdoor. Tempo permettendo!
Fa caldo. Andiamo in spiaggia? Forse meglio di no…
Gli spazi aperti rappresentano un’ancora di salvezza. Sicuri? In un sentiero di montagna il distanziamento sociale può essere semplice da ottenere, ma è arrivata la bella stagione e le spiagge sono prese tradizionalmente d’assalto. Un giorno di relax al mare può diventare uno stress insostenibile, tra bagnanti accaldati senza mascherina, distanze non rispettate, bambini lasciati a vagare, assembramenti di varia natura e, soprattutto, ombrelloni e teli a pochi centimetri. Le spiagge attrezzate sono corse ai ripari: segnaletica apposita, gel disinfettanti all’entrata e così via. Lo spazio disponibile è stato porzionato, purtroppo a volte con soluzioni poco eco-friendly e segnalatori o segnaposto in plastica. Sarebbe il caso di preoccuparci del relax, ma anche delle buone pratiche di tutela degli ecosistemi, che non devono andare in vacanza.
_ di Anna Tita Gallo