Diminuire la quantità nelle confezioni senza renderlo plateale: una nuova strategia che anche l’Antitrust sta monitorando
La shrinkflation è una strategia che negli ultimi tempi ha fatto parecchio discutere, in particolare a seguito dell’innalzamento dei prezzi generale dovuto alla guerra in Ucraina. Il termine deriva dalle parole inglesi shrink (“restringere”) e inflation (“inflazione”) e indica una pratica di marketing poco corretta sulla quale anche l’Antitrust ha deciso di aprire una procedura.
Un pratica diffusa… e legale
La shrinkflation è comunque una pratica legale che si sta diffondendo trasversalmente in tutti settori, in particolare quello alimentare. Sempre più aziende utilizzano questa strategia di marketing facendo leva ad esempio sulle tecnologie per lo sviluppo del packaging. Un importante restyling del prodotto può infatti la riduzione della confezione quasi impercettibile alla vista.
L’Istituto nazionale di statistica dal 2012 al 2017 ha raccolto i dati sui principali prodotti presenti nei super-mercati. Quasi 5000 prodotti hanno subito modifiche nel confezionamento e nel prezzo. Le merci più colpite da questo fenomeno sono dolci, zuccheri, cioccolato e miele. In 613 casi si è arrivati anche ad un aumento dei prezzi. Un’inflazione “occulta” che di certo non fa bene alle tasche dei consumatori.
Quando scatta l’inganno al consumatore
Accade in tutto il mondo, ma concentriamoci sul nostro Paese. Secondo l’AGCM (Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato) è importante verificare che sia presente un’adeguata avvertenza sull’etichetta, così da garantire una corretta informazione al consumatore. Per dirla con le parole del direttore generale per la tutela del consumatore Giovanni Calabrò, “ciò che [l’Antitrust] rileva non è la riduzione in sé della quantità di prodotto contenuta nella confezione, quanto la trasparenza di tale modifica nei confronti del consumatore”.
Riassumendo, quindi, le aziende possono ovviamente decidere di ridurre il quantitativo di prodotto inserito nelle confezioni, ma non possono trarre in inganno il consumatore facendogli percepire conveniente il prodotto stesso, che in realtà è più costoso di quanto sembri. Il problema è il processo decisionale, che non deve essere falsato.
Fate attenzione!
Di solito si fa l’esempio del pacchetto di patatine. Quando il consumatore le acquista avrà di fronte un pacchetto identico a quello che vedeva anche prima sugli scaffali. Il prezzo non sarà invariato ma all’interno le patatine saranno di meno… solo che niente lo aiuta a rendersene conto!
Un altro esempio lampante è ciò che è accaduto negli Usa appena scoppiata la guerra in Ucraina. Scarseggiando il grano tenero, di importazione appunto ucraina, i pacchi di pasta sono rimasti identici in tutto tranne che nel contenuto: il loro peso è diminuito.
In Italia, scorrendo l’esposto presentato dall’Unc all’Antitrust, si scoprono mozzarelle vendute in pacchetti da 100 g e non più 125, confezioni di caffè da 250 g diventate da 225. Sicuramente, se guardate attentamente gli scaffali scoverete bibite o dolciumi che hanno subito la stessa sorte… ve ne siete già accorti?
Il packaging per molte aziende intanto
diventa sostenibile… dai un’occhiata a questi esempi!
_Andrea Solari