Sono residui fibrosi a forma sferica che, durante il passaggio sui fondali, intrappolano microplastiche e le trasportano a riva
Anche la natura combatte l’inquinamento da plastica nel mare. A dar battaglia sono le fanerogame marine, ovvero i residui fibrosi delle foglie della pianta acquatica Posidonia Oceanica. Queste forniscono un fondamentale servizio ecosistemico, intrappolando le microplastiche dai fondali. Lo studio, pubblicato su un portale di settore, è stato condotto da Anna Sànchez-Vidal del gruppo di ricerca sulle geoscienze marine della Facoltà di Scienze della Terra dell’Università di Barcellona, prendendo in esame le spiagge dell’isola di Maiorca.
Le Palle di Nettuno intrappolano le microplastiche
“Le praterie di fanerogame marine – spiegano i ricercatori – sono diffuse nelle acque costiere poco profonde e forniscono importanti servizi e benefici ecosistemici, come il miglioramento della qualità dell’acqua, l’assorbimento di CO2, la mitigazione dei cambiamenti climatici, la produzione di sedimenti per la stabilizzazione del fondo marino e delle spiagge, la protezione delle coste, aree di vivaio e rifugio per molte specie e sostegno nella produzione della pesca. Durante il processo naturale di erosione meccanica, le fibre si intrecciano per formare agglomerati a forma di palla noti come Palle di mare o Palle di Nettuno (per la scienza Aegagropilae). Queste, durante il loro passaggio su fondali e tra le onde, intrappolano microplastiche e le trasportano a riva”.
Inquinamento sui fondali del mare
“Le microplastiche – specificano – sono particelle di plastica inferiori a 5 millimetri di dimensione e derivano dalla frammentazione e dalla degradazione di oggetti di grandi dimensioni, nonché dalla produzione diretta di particelle microscopiche come pellet di plastica vergine, microsfere cosmetiche e microfibre per abbigliamento. La ricerca sull’inquinamento da microplastiche si è concentrata a lungo sugli accumuli superficiali, tuttavia vi è un numero crescente di prove che i detriti di plastica galleggianti rappresentano meno dell’1% mentre la stragrande maggioranza cade sul fondo marino. Grazie all’azione delle fanerogame marine si verifica una continua eliminazione di questi piccolissimi detriti”.
Durante gli studi sono stati rinvenuti 613 oggetti di plastica per kg di fanerogame marine. Il materiale inquinante era costituito principalmente da frammenti (61,29%) seguiti da pellet (33,67%) e schiume (2,90%). I polimeri sono stati identificati mediante spettrometria e includevano polietilene per il 50,57%, seguito da polipropilene per il 32,18% e polivinilcloruro per il 6,90%. Le dimensioni della plastica variavano da 0,55 a 287 millimetri, in media 9,08 mm. “Nonostante l’azione delle fanerogame marine sia di combattere l’inquinamento – concludono i ricercatori – questo può anche rappresentare una minaccia significativa per le stesse piante acquatiche. Il deterioramento delle fanerogame, infatti, può compromettere i servizi che forniscono, quindi è fondamentale intraprendere azioni specifiche per mitigare le minacce che causano la regressione e garantirne la conservazione”.
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_ di Marilisa Cattaneo