Era uno dei laghi più grande del mondo, oggi è simbolo di una tragedia ambientale. Ma si riaccende la speranza
In Asia centrale si trova il lago d’Aral che con i suoi sessantaseimila chilometri quadrati di superficie era il quarto lago più grande del mondo. Oggi quello che resta è solo il ricordo, o quasi. L’azzurro delle onde ha lasciato spazio a distese di sabbia del deserto e a qualche pianta masticata dai cammelli che attraversano quello che un tempo era il fondale del lago. Questa tragedia per l’ambiente ha un colpevole: l’uomo.
Un paradiso nel deserto
Il lago d’Aral aveva sfamato e dissetato i popoli del deserto e le carovane dei mercanti per secoli. Oasi piene di vita tutte intorno che davano sollievo ai naviganti del deserto. Piccole città turistiche erano cresciute infine dopo la seconda guerra mondiale.
Un angolo di paradiso nel mezzo del deserto destinato a scivolare all’inferno a partire dagli Anni Cinquanta, quando le autorità decisero di deviare il corso dei due fiumi immissari (Amu Darya e Syr Darya) in grandi canali di irrigazione destinati alle aree di coltivazione del cotone. L’obiettivo era infatti quello di rendere l’Unione Sovietica il primo produttore di cotone al mondo.
La lavorazione di questa fibra è un’arte millenaria in quella zona. Dopo aver imparato le tecniche tessili dai vicini cinesi, i popoli dell’attuale Uzbekistan si specializzarono e tolsero ben presto il primato commerciale alla Cina verso i clienti occidentali. Samarcanda e Merv diventarono le città simbolo della Via della Seta che univa Occidente e Oriente, tappe fondamentali nel percorso delle carovane piene di tessuti come il cotone e la seta, spezie pregiate e minerali, ma anche cavalli e porcellane. Tutti prodotti richiestissimi anche dagli imperatori romani.
Storia di un disastro ambientale (e non solo)
Le conseguenze della deviazione dei fiumi sono state catastrofiche. I canali di irrigazione costruiti per l’occasione erano di pessima qualità. Solo metà dell’acqua trasportata raggiungeva le piantagioni, mentre l’altra metà si perdeva oppure evaporava durante il percorso. Così nei primi anni Sessanta il livello del lago incominciò a scendere di venti centimetri l’anno. Nel 1980 il livello aveva già raggiunto il metro. Il lago stava sparendo.
Le aree prima popolate da giardini in fiore e chilometri di campi di frumento e fichi fecero spazio al bianco cotone e per la produzione furono utilizzate dosi massicce di fertilizzanti chimici e pesticidi. La regione rurale e incontaminata di un tempo si era trasformata in una zona industriale tra le più inquinate del Pianeta.
L’acqua che da sempre aveva dissetato uomini e animali non era più potabile a causa dell’inquinamento del sottosuolo e dell’aumento della salinità. Le malattie endemiche e l’aumento del tasso di mortalità ne sono la triste conseguenza. A peggiorare la situazione, il vento inesorabile del deserto che trasporta il sale rimasto sul vecchio fondale del lago rendendo ancora più aride le terre attorno. 35 milioni di persone hanno subito o continuano a subire le conseguenze di questo disastro ambientale, economico e sociale.
Un lago destinato a scomparire?
Eppure una fiammella di speranza rimane viva. Sul territorio sono presenti diverse organizzazioni impegnate nella lotta ambientale (specialmente nella gestione delle acque), ma il cambio di passo è avvenuto solo a partire dal coinvolgimento delle autorità kazake, uzbeke e del Fondo Monetario Internazionale. Piccoli passi in avanti che fanno sperare per un epilogo diverso. Il Fondo ha investito quasi 200 milioni di dollari per la costruzione della diga di Kokaral come parte del progetto SYNAS (Northern Aral Sea Project) così da recuperare la parte settentrionale del lago d’Aral immettendo 3 chilometri quadrati annui di acqua attraverso il fiume Syr Darya per alzare e mantenere il livello delle acque a 42 metri di altezza. Il governo del Kazakistan ha investito maggiormente sulla riparazione dei canali di irrigazione per tarpare l’emorragia e l’evaporazione delle acque, mentre l’Uzbekistan ha introdotto un sistema di irrigazione condiviso tra privati e produttori di cotone per gestire in maniera più efficacia il flusso delle acque.
Al di là dei progetti su vasta scala, le piccole associazioni delle comunità colpite hanno dato il loro contributo impegnandosi a ripiantare sempre più alberi e piante e a ricostruire l’ecosistema colpito. Molti uccelli che avevano abbandonato l’area sono tornati a nidificare e le comunità di pesci hanno ripreso a crescere lentamente. Queste attività sono state rese possibili anche dall’installazione di sistemi di raccolta dell’acqua che hanno ridotto la quantità di sali e sostanze chimiche tossiche che si riversa in mare. Purtroppo però lo smaltimento avviene ora nei centri abitati, spostando altrove il problema.
Oggi la superficie del lago equivale a circa il 10% di quella originaria ed ex città costiere come Aralsk si trovano “solo” a decine di chilometri dal lago, oggi diviso in due. Il vecchio splendore del lago d’Aral (forse) non tornerà mai più, il disastro ambientale non si può cancellare. Rimane la speranza che non scompaia del tutto.
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_Simone Picchi