Dopo una vita spesa a raccontare la vita e l’ecologia del pianeta, il più famoso divulgatore scientifico del mondo torna con un documentario su Netflix che spiega come siamo arrivati a questo punto e cosa dobbiamo fare per evitare una catastrofe senza precedenti
David Attenborough ha 94 anni. Alla sua età molte persone si limitano a raccontare le imprese gloriose compiute in gioventù e passano ai nipoti il testimone perché siano loro a progettarne di nuove. Dave Attenborough non è sicuramente uno di questi. D’altra parte non stiamo parlando di un uomo qualsiasi ma del divulgatore scientifico che ha accumulato più ore di chiunque altro parlando al pubblico televisivo del Pianeta Terra.
La sua nuova impresa è il racconto di ciò di cui i suoi occhi hanno visto mutare in tutti questi anni, alla luce di due nuovi elementi che, probabilmente, neanche lui prima d’ora aveva immaginato in tutta la loro interezza: l’inasprirsi della catastrofe climatica e la potenza amplificatrice dei social network. Il risultato è una sorta di racconto biblico della vita sulla Terra e del suo evolversi irrefrenabile lungo l’arco di un secolo.
“Una Vita sul Nostro Pianeta”
Questa volta Attenborough giunge a noi attraverso una piattaforma nuova, Netflix, forte di migliaia di spettatori che intanto si sono tramutati in follower (su Instagram, nel momento in cui scriviamo, Attenborough ha superato ormai i 6 milioni di seguaci).
Ma in “Una Vita sul Nostro Pianeta” a parlarci non è un anziano signore ormai stanco, pronto a consegnarci la sua autobiografia. A parlarci è un elegante divulgatore dall’aria saggia che aggiunge una nuova tappa alla propria carriera, diversa da tutte le altre e frutto di un’osservazione consapevole compiuta a ritroso: i racconti delle gesta di ieri sono solo il pretesto per mostrarci cosa l’umanità abbia provocato e come abbia cambiato il corso della vita sul Pianeta.
Una catastrofe all’orizzonte?
Quando il sipario si apre veniamo trasportati a Chernobyl. Impossibile slegare quei fatti da ciò che la Terra è oggi. Il significato di “catastrofe” stessa è mutato. Certamente quella ucraina resta tale, ma cos’è la crisi climatica se non una catastrofe? Cos’è lo scioglimento dei ghiacciai? Cos’è la devastazione di interi ecosistemi? Catastrofi, appunto.
Il paragone è impietoso. L’esplosione a Chernobyl ha reso l’intera città di Pripyat inabitabile da quel 26 aprile del 1986, ma si tratta pur sempre di un evento isolato; ogni giorno è in atto la tragedia della scomparsa dei luoghi naturali e della costante perdita di biodiversità. Due catastrofi con un elemento comune: l’essere frutto di errori umani.
Attenborough è spettatore di se stesso mentre ci riconduce in luoghi che all’inizio della sua carriera erano incontaminati e quasi inesplorati. Molti di questi luoghi oggi sono stati devastati. Le foreste pluviali sono state sacrificate, i loro alberi abbattuti per lasciare il posto a monocolture e strade asfaltate; quegli alberi erano la casa di specie che oggi contano poche decine di esemplari. La caccia ha costretto per anni i ranger a vivere accanto ai gorilla di montagna, a cui i bracconieri hanno sparato a lungo indisturbati per poter sottrarre gli esemplari più giovani. Con il passare degli anni i capelli del nostro divulgatore sono diventati più bianchi, il suo volto segnato, i coralli dei grandi reef sono sbiancati diventando scheletri, le foreste si sono rimpicciolite, gli animali sono diventati difficili da trovare nei loro ecosistemi.
La necessità di proteggere il nostro pianeta
Ma ad un certo punto, già qualche decennio fa, l’umanità si è resa conto della propria condizione. Con il lancio dell’Apollo 8 la Terra è stata per la prima volta osservata dall’esterno: è lì che ci siamo scoperti soli e vulnerabili su un Pianeta limitato. Soprattutto dagli Anni Settanta in poi è cresciuta la consapevolezza dell’importanza della tutela degli ecosistemi; è stato possibile anche grazie a personaggi come Attenborough e a documentari che ci hanno svelato le meraviglie della natura messe in pericolo dagli errori umani. Specie come le balene, cacciate in maniera cruenta per ricavare olio e carne, una volta osservate, una volta ascoltati i loro canti maestosi, sono diventate simbolo di ciò che stavamo perdendo per nostra stessa colpa, per la smania incontrollata di accaparrarci risorse finite di un Pianeta finito.
La nostra casa è limitata. Ma da decenni continuiamo a chiederle qualcosa di più ogni giorno.
E le conseguenze sono quelle che abbiamo davanti agli occhi.
Attenborough ripercorre i suoi viaggi e sui nostri schermi scorre la bellezza di un mondo che ancora non conosciamo a sufficienza nemmeno oggi. Abbiamo a disposizione le immagini dei migliori fotografi e registi, eppure quella consapevolezza non è ancora abbastanza forte.
“Cosa stiamo facendo?”, viene da chiedersi, mentre sotto al nostro sguardo scorrono frammenti di foreste, oceani, alberi e animali che non esistono più o sono tristemente mutati.
Gli effetti della presenza umana sull’ambiente
A lungo l’essere umano non si è reso conto di avere il potere di minacciare l’esistente. L’ha fatto dal momento in cui ha interferito con i ritmi naturali del Pianeta in un’era, l’Olocene, stabile che ha consentito a tutti gli ecosistemi di svilupparsi e di creare il mondo così come lo conosciamo. Almeno fino a quando non lo abbiamo stravolto.
Vogliamo davvero rendere la Terra un luogo inospitale e inabitabile come quella Chernobyl che ci fa tanto paura? Abbiamo già abbattuto tremila miliardi di alberi e devastato metà delle foreste pluviali, abbiamo intenzione di proseguire oltre? Ormai il 70% degli uccelli è addomesticato (sono soprattutto polli), il 60% dei mammiferi è composto da bestiame da allevamento, un altro terzo è composto dalla specie umana, la parte restante si aggira attorno al 4%. Sono le cifre di un pianeta gestito dall’uomo per l’uomo.
E nessun ecosistema è così grande e potente da non crollare, nemmeno l’oceano in tutta la sua vastità.
“Quando da giovane pensavo di essere immerso nella natura più incontaminata mi illudevo. Foreste, fiumi e mari si stavano già esaurendo. Abbiamo distrutto il mondo, non solo rovinato. Il mondo non umano è completamente andato. L’uomo ha annientato il mondo “, sentenzia Attenborough. A questo punto cogliamo la sofferenza nel suo sguardo. Non è un divulgatore impassibile che ci parla, è un’anima, è un cuore.
Un saggio signore che sa cosa ci aspetta. Quella tristezza è la sensazione comune di chi ha raggiunto la consapevolezza estrema di un problema e si sentirebbe in colpa ignorandolo.
Una nuova speranza
Davvero il nostro mondo è perduto? Non è detto. L’ultima parte di questo magnifico racconto si tinge di speranza. C’è ancora qualcosa che possiamo fare e, in sintesi, si tratta di ristabilire la biodiversità, ciò che abbiamo eliminato. Non abbiamo altre vie di fuga se non quella di rinaturalizzare il mondo e fare ciò che la natura ha sempre fatto perché ha compreso tempo fa, molto prima di noi, il segreto della vita: “Ogni specie prospera solo se il resto prospera con essa. Se ci prendiamo cura della natura la natura si prenderà cura di noi. Dobbiamo smettere di crescere e iniziare a prosperare (…) non si tratta di salvare il Pianeta, si tratta di salvare noi stessi. Con o senza di noi, il mondo naturale tornerà”.
Proprio come sta accadendo a Chernobyl, dove la foresta ha ormai invaso la città.
Se questa è una delle prove che, nonostante gli errori più gravi commessi dall’uomo, la natura riesce a sopravvivere, resta una domanda: e noi ce la faremo?
A nostro favore abbiamo la capacità di essere gli unici viventi in grado di prevedere le conseguenze delle nostre azioni. Non dobbiamo temere il futuro, ma costruirne con saggezza uno che ci permetta di sopravvivere.
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_ di Anna Tita Gallo