Le donne cercano di vivere in modo più sostenibile rispetto agli uomini. Attenzione, rischiano di diventare caregiver anche del Pianeta
Anche se al giorno d’oggi tutti i consumatori sono sempre più attenti e sensibili alle tematiche ambientali e legate alla sostenibilità, le donne dimostrano di essere le vere protagoniste del cambiamento. Secondo un sondaggio condotto nel 2018 dalla società di ricerche di mercato Mintel, emerge che il 71% delle donne cerca di vivere in modo più etico, rispetto al 59% degli uomini. In più, il 65% incoraggia anche amici e familiari ad adottare uno stile di vita più rispettoso dell’ambiente, mentre solo il 59% degli uomini lo fa. Il risultato è quello che Mintel definisce come un effettivo “Eco Gender Gap”.
Jack Duckett, analista senior di Mintel, ha affermato che ancora oggi sono tendenzialmente le donne a prendersi cura della gestione familiare e della casa (e sappiamo durante il lockdown la questione è riemersa prepotentemente). Questo fa sì che la maggior parte delle campagne pubblicitarie eco-friendly vengano rivolte al pubblico femminile, correndo così il rischio di comunicare il messaggio che la sostenibilità sia esclusivamente una questione “da donne”.
Eco Gender Gap: un problema socioculturale
Un’idea insidiosa e problematica di per sé, che vede la figura femminile rappresentata come caregiver, anche del Pianeta. Da un’indagine effettuata nel corso del 2020 dalla Conference board global consumer confidence della Nielsen, emerge come effettivamente le donne siano più propense ad attuare comportamenti più ecologici, come preferire i mezzi pubblici alla macchina (il 30% rispetto al 22% degli uomini), usare prodotti senza sostanze chimiche (il 37% contro il 27% degli uomini), portare le borse della spesa da casa per non sprecare plastica (il 69% delle donne e il 54% degli uomini), e disposte a pagare un sovrapprezzo per avere prodotti che rispettino l’ambiente e che siano eticamente prodotti (il 14% delle donne contro il 12% degli uomini). Inoltre, le donne sembrano prestare più attenzione alla raccolta differenziata, oltre a ridurre leggono il proprio consumo di carta leggendo libri, riviste e giornali su supporti elettronici (il 20% vs il 17% degli uomini).
Per spiegare questa differenza di attitudine occorre fare un tuffo nel passato, quando si riteneva che il comportamento più attento nei confronti dell’ambiente da parte delle donne fosse dovuto a una maggiore inclinazione altruistica. In realtà questa idea sembrerebbe più derivare da un certo condizionamento sociale che negli anni ha sempre valorizzato alcuni tratti come la compassione, l’empatia e l’educazione tra le donne.
Uomini poco sostenibili? La causa è la mascolinità tossica
È evidente che la teoria secondo la quale una maggiore consapevolezza ambientale sia dovuta a differenze di personalità o tendenze biologiche per le donne non può più essere considerata la spiegazione principale. Ad ogni modo, un altro studio pubblicato nel 2019 su Sex Roles ha evidenziato come molti uomini siano poco inclini, ad esempio, a portare una borsa della spesa riutilizzabile (o a riutilizzare quella in plastica) oppure a mettere in pratica attività ecosostenibili per il timore di essere percepiti come meno virili. Ciò viene confermato anche da un articolo pubblicato dal Journal of Consumer Research nel 2016, che sottolinea come il genere maschile sia demotivato nell’adottare comportamenti ecologici e nel compiere scelte di consumo sostenibili per il timore di vedere compromessa la propria identità di genere.
Questa disconnessione tra mascolinità e ambientalismo è inserita all’interno della cultura popolare: un esempio è dato dal termine “soy boy”, utilizzato spesso nel gergo delle comunità online come epiteto dispregiativo per riferirsi a “maschi privi di caratteristiche virili”, in quanto i semi di questo legume contengono fitoestrogeni, sostanze di origine vegetale molto simili sia dal punto di vista strutturale che funzionale agli estrogeni, i principali ormoni sessuali femminili. Inoltre, la soia è nota per essere uno degli elementi base della dieta vegana che nella cultura della mascolinità tossica è diventata sinonimo di un atteggiamento delicato, sensibile ma soprattutto poco virile.
Donne e sostenibilità: dalle lotte dell’eco-femminismo agli stereotipi di genere
Per diverso tempo, e in particolare a partire dagli anni 60’, femminismo e ambientalismo sono stati strettamente associati, in un unico movimento denominato “eco-femminismo”. Sebbene il termine sia stato coniato solo molti anni dopo (nel 1974 da Françoise d’Eaubonne) il movimento sostiene il parallelismo tra la subordinazione delle donne e il degrado della natura. Secondo alcune ecofemministe tale connessione deriverebbe da una radice comune di dominio: la struttura di potere patriarcale-capitalistica. Oltre a spiegare la correlazione tra le due forme di oppressione, il movimento mira a dimostrare che le due battaglie sono intrecciate tra loro, in quanto sia gli sviluppi che le battute d’arresto di uno si riflettono nell’altro.
Tuttavia, anche se – secondo gli studi citati e molti altri ancora – le donne sono più sensibili alle questioni ambientali, rischiamo di cadere nel tranello di un altro stereotipo che danneggerebbe tutti. La soluzione? Una sola: combattere i pregiudizi, partendo da quelli di genere.
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_ di Hillary di Lernia