Impariamo a leggere le etichette dei capi per fare acquisti più sostenibili e consapevoli
Dietro a prezzi stracciati e a un capo apparentemente economico si cela tutta una serie di variabili che si dovrebbe tenere a mente quando si fa shopping per evitare di riempire il proprio armadio con collezioni fast-fashion di bassa qualità e poco sostenibili.
Quando facciamo shopping e dobbiamo decidere se comprare o meno un capo di abbigliamento, quanto conta il prezzo e quanto invece l’etichetta di composizione dei tessuti? Un fattore che ci spinge all’acquisto compulsivo, spesso, è quella cifra che compare dopo la virgola: quei 99 centesimi che hanno il potere di farci credere di concludere un bell’affare. Ma non è del tutto così. Devi sapere che quei capi da 19,99 o da 4,99 che ti guardavano e richiamavano la tua attenzione con tanto di etichetta rossa e prezzo sovradimensionato, forse, non dovresti acquistarli.
Ecco una piccola guida per uno shopping più attento al benessere del Pianeta.
Tessuti naturali vs tessuti artificiali
Prima di tutto, è necessario conoscere la differenza tra tessuti naturali e tessuti sintetici. I primi sono derivati da fibre organiche o di origine animale, mentre i secondi sono creati artificialmente dall’industria chimica. Per fare qualche nome: cotone, lana, seta, lino e canapa appartengono alla prima categoria, mentre nylon, poliestere, acrilico ed elastan alla seconda. Ma non è finita qui, non basta solo acquistare un maglione di cotone o un bel vestito di lino per avere la coscienza a posto. Infatti, l’origine del tessuto non garantisce un basso impatto ambientale: tutto sta nel processo produttivo di lavorazione delle fibre. Un esempio concreto è quello del cotone che, sottoposto a una coltivazione intensiva, per la sua produzione richiede un considerevole consumo di acqua, per non parlare dell’uso di pesticidi e dei processi chimici per trattamento, tintura e finitura. Una valida alternativa è la sua versione biologica per la quale si ricorre a quantitativi d’acqua inferiori e sono banditi fertilizzanti e sostanze nocive.
Ma veniamo alle fibre sintetiche. Gran parte dei vestiti dei principali negozi presentano un’etichetta di composizione dei tessuti occupata quasi totalmente da poliestere, nylon o acrilico. Ti basta andare a controllare con mano per scoprire che quel soffice maglione che hai comprato proprio per la sua consistenza vaporosa e accogliente conta solo un misero 3% di lana, mentre a contendersi la percentuale restante dell’etichetta concorrono solo fibre artificiali dall’acrilico al poliestere fino all’elastan. Produrre tessuti con fibre sintetiche significa depauperare la natura di risorse (per esempio rayon e acetato derivano dalla cellulosa degli alberi), liberare enormi quantità di CO2 e disperdere sostanze chimiche nell’aria. Insomma, quasi tutti gli abiti che indossiamo derivano da processi industriali altamente inquinanti. Per questo motivo, informarsi sulla composizione e sui metodi di lavorazione dei singoli materiali può essere un punto di partenza per vestirsi in modo sostenibile.
Attenzione però anche alle percentuali: se il tessuto è composto da varie fibre, è improbabile che venga riciclato. Sempre meglio puntare su composizioni meno mixate.
Le varianti eco delle fibre sintetiche
Come abbiamo visto per il cotone, anche le fibre sintetiche hanno delle varianti più sostenibili. Il nylon, per esempio, una delle prime fibre sintetiche prodotte nella storia, può essere sostituito dall’Econyl, un materiale realizzato dall’azienda Aquafil con plastica riciclata in un sistema a circuito chiuso. Alla base della lavorazione vi è un processo che parte da rifiuti sintetici come plastica industriale, tessuti di scarto e reti da pesca degli oceani e che culmina in un nuovo e rigenerato filato di nylon della stessa qualità di quello vergine.
Il poliestere, invece, largamente utilizzato anche al di fuori dell’industria della moda, è una plastica comune derivata dal petrolio. La maggior parte dei poliesteri non è biodegradabile, il che significa che una camicia in questo materiale rimarrà in circolo almeno per i prossimi 100 anni. Come alternativa, è possibile optare per tessuti realizzati con plastica PET riciclata, creata a partire da bottiglie di plastica o reti da pesca. Anche se il problema di inquinamento da microplastiche non viene risolto, si può notevolmente ridurre con l’acquisto di prodotti che non richiedono frequenti lavaggi in lavatrice.
Privilegiare fibre riciclate
Molti brand hanno deciso di impegnarsi sul fronte del riciclo, non solo con la raccolta di abiti dismessi ma anche con la commercializzazione di intere collezioni “responsabili”. E così, anche le stesse case di moda hanno iniziato a riutilizzare scarti di produzione ed eccedenze dei diversi stadi della filiera per creare le nuove proposte per la stagione successiva. Riciclare è una valida alternativa anche per le fibre sintetiche che in questo modo, essendo non biodegradabili, vengono riutilizzate per nuovi capi e non finiscono nei rifiuti. Il processo di riciclo delle fibre sintetiche è diverso da quello utilizzato per quelle naturali. Dopo essere state selezionate dal resto del cascame – l’insieme degli scarti di lavorazioni provenienti da calzifici, laboratori tessili, sartorie e tessiture – le fibre artificiali vengono divise in base alla composizione, a seconda che si tratti di nylon poliammide, di acrilico o di poliestere. I materiali così suddivisi vengono sottoposti a operazioni di pressatura da cui si ottengono delle balle di prodotto omogeneo rimesse in circolo sotto forma di Materie Prime Secondarie.
Fare attenzione al luogo di produzione
Oltre al tessuto, l’etichetta di composizione degli abiti riporta informazioni relative anche al luogo e ai metodi di produzione. Per esempio, piccoli brand etici che producono nello stesso Paese o addirittura a pochi chilometri di distanza dalla propria sede, specificano anche il metodo di lavorazione: quanti litri di acqua vengono consumati, se sono stati usati materiali riciclati e quante emissioni di CO2 sono state prodotte. Se l’abito che vuoi acquistare riporta informazioni di questo tipo o se la produzione non viene effettuata in Paesi in via di sviluppo, potresti essere già sulla buona strada.
Il valore della sostenibilità
Avere a cuore le sorti del Pianeta significa acquistare meno e meglio. Perché avere 10 paia di pantaloni comprati a 19,90 euro se puoi possederne uno di buona qualità da 70-80 euro o, ancora meglio, indossare un modello vintage recuperato in qualche mercatino dell’usato? Se la direzione del tuo shopping sarà sempre più green, dovrai mettere in conto di fare scelte più responsabili, privilegiando la qualità alla quantità e destinando qualche soldo in più al tuo guardaroba per un numero inferiore di capi. Cosa ne pensa il tuo portafoglio?
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_ di Alice Nicole Ginosa