L’8 giugno si celebra la Giornata Mondiale degli Oceani, il nostro principale alleato nella lotta al cambiamento climatico
Soffocati da tonnellate di plastica, sfruttati dalla pesca eccessiva e contaminati dallo sproporzionato inquinamento, gli oceani, che ricoprono i due terzi del nostro Pianeta, hanno bisogno di essere protetti. Per richiamare l’attenzione dell’opinione pubblica e sensibilizzare sul tema, l’Onu ha istituito il “World Oceans Day”, la Giornata Mondiale degli Oceani, che si celebra ogni anno in tutto il mondo l’8 giugno.
Oceani e mari sono un patrimonio essenziale per la vita dell’uomo sulla Terra: più di 3 milioni di persone dipendono dalla biodiversità degli oceani per la propria sopravvivenza e le risorse e i settori collegati contribuiscono al 5% del Pil mondiale. Inoltre, sono i nostri principali alleati nella lotta al cambiamento climatico, in quanto catalizzatori di CO2 (si stima che riescano ad assorbire circa il 25% delle emissioni che le varie attività umane generano e rilasciano nell’atmosfera).
Plastica negli oceani, una vera crisi globale
Ciò nonostante, continuiamo a maltrattare il nostro “Polmone Blu”. L’inquinamento degli oceani dovuto alla plastica ha raggiunto il livello di una vera crisi globale e sta avvelenando la vita marina, colpendo inevitabilmente anche la salute umana e i mezzi di sostentamento. Le stime parlano di circa 8 milioni di tonnellate di plastica che ogni anno finiscono su spiagge e fondali, con evidenti effetti devastanti sul fragile equilibrio dell’ecosistema marino. Lenze, reti da pesca, buste, bottiglie, flaconi, e molto molto altro: i grandi pezzi di plastica feriscono, strangolano e causano spesso la morte di animali come tartarughe marine e uccelli marini.
La plastica dispersa nell’ambiente rischia di finire dritta sulle nostre tavole… lo sapevi? A questo e a tanti altri risvolti del problema “plastica” abbiamo dedicato un episodio di Alto Voltaggio, ASCOLTALO SUBITO!
L’inquinamento invisibile delle microplastiche
Invece di decomporsi o degradarsi come molti sostengono, nell’oceano le materie plastiche si dividono in realtà in pezzi sempre più piccoli, creando una delle minacce silenziose più pericolose: le microplastiche. Stiamo parlando di particelle di plastica di diametro e lunghezza inferiori ai 5 millimetri, che vengono involontariamente ingoiate da vertebrati e invertebrati, dal plancton alle balene. In uno studio di Greenpeace sono state individuate più di 170 specie soggette ad ingestione di microplastiche, tra cui pesci molto comuni sui mercati ittici, oltre che crostacei e molluschi. In questo modo la plastica entra direttamente nel ciclo alimentare per poi finire sulle nostre tavole. Si è stimato che, in media, ingeriamo 5 grammi di plastica a settimana, l’equivalente di una carta di credito, e non si conoscono ancora i risvolti per la nostra salute.
Garbage patch, la triste realtà delle isole di plastica
Ma non tutta la plastica raggiunge i fondali marini: quella più resistente può galleggiare ed essere trasportata su lunghe distanze per accumularsi in un’area generata da un vortice, formando le tristemente famose isole di plastica. Ad oggi sono state individuate sette garbage patch (isola o vortice di plastica) nel mondo e la più nota è conosciuta come Great Pacific Garbage Patch situata nell’Oceano Pacifico; è difficile stabilire con estrema precisione la dimensione di questa isola ma si stima che sia compresa tra 700 mila km² e 10 milioni di km², estensione che la renderebbe quasi grande come il Canada.
Battaglia all’usa e getta
Le soluzioni e i rimedi per ridurre il problema dell’inquinamento marino non possono non passare per la riduzione della produzione e consumo di plastica. L’Europa è il secondo produttore di plastica al mondo dopo la Cina e ogni anno riversa in mare tra le 150 e le 500mila tonnellate di macroplastica; tuttavia, si stanno compiendo sforzi notevoli per passare a un’economia circolare introducendo iniziative politiche per favorire la riduzione e il riuso. A partire dal 2018 il Parlamento europeo ha introdotto forti limitazioni all’uso di sacchetti in plastica leggera che non possono più essere forniti gratuitamente. Inoltre, è stato chiesto alla Commissione di impedire che le microplastiche vengano introdotte volontariamente nelle formulazioni dei cosmetici. Da quest’estate invece, posate, piatti e bastoncini per palloncini in plastica monouso saranno banditi. Anche il nostro Paese sta compiendo notevoli passi avanti: lo scorso anno l’Italia ha ottenuto ottimi risultati in termini di recupero e riciclo degli imballaggi di plastica tanto da porsi tra i paesi più virtuosi in Europa. Secondo i dati di Corepla, la raccolta è aumentata del 4% rispetto al 2019 e del totale degli imballaggi immessi sul mercato il Sistema Italia ne ha recuperati il 95%. Allo stesso tempo anche alcune aziende, enti e istituzioni private hanno deciso di abbandonare o quantomeno ridurre la produzione intensiva di nuovi prodotti per traslare verso un approccio più ecosostenibile e “plastic free“, modificando i propri packaging e impiegando materiali più sostenibili, volti a ridurre sia gli sprechi che l’inquinamento ambientale.
Stop alla plastica in mare: cosa possiamo fare
Indubbiamente si stanno compiendo sforzi significativi, ma c’è ancora molta strada da fare. Secondo lo studio “The New Plastics Economy: Rethinking the future of plastics”, realizzato dal World Economic Forum in collaborazione con la Ellen MacArthur Foundation, ad oggi le proiezioni non lasciano scampo: entro il 2050 gli oceani accoglieranno più plastica che pesci. Purtroppo la pandemia da Covid-19 ha contribuito ulteriormente all’inquinamento generato dai rifiuti di plastica: guanti e mascherine ormai si trovano ovunque nelle strade delle nostre città, pronti a essere trasportati dal vento verso tombini e corsi d’acqua, tutti con un’unica destinazione finale: il mare. Ciò non significa dover smettere di usare i dispositivi di protezione (almeno fino a che sarà ritenuto necessario) ma iniziare o incrementare un corretto smaltimento dei prodotti di plastica che utilizziamo, oltre che cambiare le nostre abitudini di acquisto. Ad esempio cerchiamo di prediligere oggetti di uso domestico realizzati in materiali ecologici come mollette in legno per stendere i panni o contenitori e bicchieri in vetro. Impariamo ad utilizzare borse di tela o tessuto per fare la spesa ed evitiamo di acquistare prodotti in vaschette di polistirolo e pvc. Ma soprattutto differenziamo i rifiuti senza lasciare scarti di qualunque tipo fuori dai cassonetti, soprattutto in parchi, pinete, spiagge. Perché volere un mare pulito e sano vuole dire diventare parte della soluzione e non del problema.
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_ di Hillary di Lernia