Fino a qualche mese fa, in epoca pre-Coronavirus, ripetevamo come un mantra che il futuro del lavoro sarebbe dipeso in larga parte dallo sviluppo e dal sostegno ad aziende, professioni e servizi della green economy. In questo settore, dicevano gli esperti, si concentrerà l’aumento di posti di lavoro, di occupazione. Poi è arrivato il Covid-19 e il mantra è cambiato: è sullo smart working che dobbiamo puntare, quindi sulla digitalizzazione, che in realtà dovrebbero essere elementi trasversali utili al progresso, all’evoluzione e alla sopravvivenza di qualsiasi settore. Se ogni previsione viene smentita nel giro di pochi giorni, come sarà allora il mondo del lavoro nei prossimi mesi? Qualcuno affonderà, altri emergeranno. Di sicuro, è l’alba di una nuova epoca.
Cambieremo prospettiva. O forse no.
I tempi cambiano, cambierà il modo di fruire gli spazi, con il distanziamento sociale che regolerà la nostra vita a lungo. Cambierà il nostro modo di consumare e di spendere. Abbiamo imparato la lezione, abbiamo capito cos’ha valore nella vita, abbiamo rivalutato il nostro rapporto con la natura.
O forse no.
Su Forbes, Josie Cox scrive che l’essere umano sbaglia sistematicamente ogni previsione. Oggi siamo tutti chiaroveggenti, ci piace immaginare un mondo nuovo, ma i nostri profili social trasudano ricordi, memorie nostalgiche, comunicano la nostra voglia istintiva di ritorno alla normalità. Cioè, al passato.
Cosa insegna il Covid-19 al mondo del lavoro
Applichiamo questa constatazione al mondo del lavoro. Chi saranno i nuovi lavoratori? Ci saranno sicuramente ancora coloro che oggi sono stati forzati ad operare da remoto, in smart working, o costretti ad uno stop solo momentaneo. Il loro spirito di collaborazione è alle stelle, il loro spirito di gruppo anche, la loro comprensione nei confronti di colleghi e dipendenti si è moltiplicata. Ma questa è opera del Covid, che presto scomparirà o sarà una costante a cui ci saremo lentamente abituati. Se togliamo il Covid, saremo ugualmente così collaborativi? Nessuno lo sa.
Il mondo del lavoro può, tuttavia, cogliere alcuni frutti da questa fase disperata: abbiamo imparato che il lavoro agile funziona, che non tutti i lavoratori devono compiere spostamenti per recarsi fisicamente nelle sedi aziendali per compiere le proprie attività, che si può lavorare ed essere pagati in relazione ad obiettivi e non ad un monte ore stabilito. Soprattutto, dovremmo aver imparato che conciliare carriera e famiglia è assolutamente possibile se le modalità di lavoro sono più smart, ma occorre che alcune regole vengano modificate in base al nuovo contesto e ai nuovi lavori.
Ma siamo dannatamente pigri.
L’isolamento ci ricorda ossessivamente cosa sapevamo e cosa potevamo fare, abbiamo un bisogno irrefrenabile di tornare alla realtà e trascureremo probabilmente molti dei vantaggi che abbiamo avvertito in questa situazione eccezionale. Rischieremo di sacrificare il nostro amore per le modalità smart (che peraltro ci rendono più produttivi) in nome di un ritorno alla normalità, per la gioia dei datori di lavoro più ostili al cambiamento, che non lo incentiveranno affatto.
Tuttavia, se ogni previsione potrebbe essere priva di alcun valore, i due cardini fondamentali saranno un maggiore focus sulla sicurezza nei luoghi di lavoro e lo smart working come auspicabile regola generale, con gli spostamenti a fare da eccezione.
Le professioni più ricercate dopo la pandemia (e durante) e quelle più a rischio
Molti analisti in questo periodo si sono chiesti quali professioni saranno particolarmente ricercate, quali resisteranno e quali sono invece a rischio altissimo di scomparsa. Quelle della green economy non sono più sulla bocca di tutti, a dispetto delle vecchie previsioni ante-Covid.
Secondo Gruppo Adecco Italia, è cresciuta la domanda infermieri (era prevedibile). Cresce la richiesta di operai in ambito chimico e farmaceutico per la produzione di disinfettanti e mascherine, cresce anche in settori come quelli legati ai beni di prima necessità, quindi Gdo, magazzinieri, logistica ed e-commerce. In crescita la richiesta di addetti alle pulizie e interventi di sanificazione. Fin qui, l’effetto Covid è palese. Uno studio della società di consulenza McKinsey sottolinea quanto già immaginavamo: si salvano più facilmente le posizioni che non richiedono contatto con clienti e colleghi.
L’altra faccia della medaglia ci mette con le spalle al muro: in Ue sono a rischio 60 milioni di posti di lavoro, a farne le spese potrebbe essere soprattutto il personale non laureato e senza contratti stabili: addetti alle vendite nel retail, cuochi e attori sono in testa alla classifica macabra. Lo stesso esito è sostanzialmente confermato da Adecco: il rischio maggiore è per stagionali, GIG economy, contratti flessibili e lavori legati alla moda e al lusso, dove gli effetti della pandemia saranno visibili fino a metà 2021. Ma, come dicevamo, le previsioni sistematicamente si rivelano inesatte e, soprattutto, dobbiamo concederci la speranza di confidare nella creatività delle persone.
_ di Anna Tita Gallo
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