Il modello virtuoso è la comunità di accoglienza dove si convive e ci si aiuta come in una famiglia
Intercettare le fragilità delle persone, leggere i bisogni psicosociali del territorio e offrire risposte efficaci. È la straordinaria opera della Fondazione Arché, nata nel 1991 a Milano per volere di Don Giuseppe Bettoni, che ha mosso i primi passi facendo fronte all’emergenza sociale dell’HIV. Prima associazione nazionale ad occuparsi di HIV pediatrico, ha offerto risposte sociali e sanitarie in questo campo fino a quando, rileggendo le necessità delle persone, ha spostato la sua mission verso le famiglie e le mamme con disagio psicosociale. Nel tempo sono state integrate altre aree di intervento, come i bisogni lavorativi ed economici: oggi, 30 anni dopo, Arché si occupa di donne, bambini e nuclei vulnerabili.
Orfani e famiglie
A raccontarci Arché è Chiara Clemente, responsabile nazionale dell’Area Cittadinanza. La sua esperienza inizia come operatrice ADM (Assistenza Domiciliare Minori) per poi trasferire il suo impegno e le sue competenze in Comunità. «Quando è nata la Fondazione, che allora era ancora Associazione – spiega – lo scenario era davvero grave: la madre moriva e il bambino rimaneva solo. È stato creato ciò che prima non esisteva, ovvero l’affidamento degli orfani sieropositivi. Per loro si cercava di trovare una famiglia che li potesse accogliere in un clima di serenità per gli ultimi anni/mesi di vita. Erano affidi a casa di volontari e gente della parrocchia che sposava la causa. In una situazione in cui non c’era una cura, Arché ha comunque cercato di dare una risposta. Poi, fortunatamente, sono arrivati i farmaci e la situazione si è stabilizzata: le persone hanno smesso di morire, almeno in quella percentuale così alta».
Supporto a mamme e figli
Molti e preziosi i servizi di Arché oggi attivi: tra questi il supporto alle famiglie come l’ADM, dove i nuclei vengono seguiti tra aiuto psicologico ed economico; importante anche l’attività offerta alle mamme detenute nel carcere di Bollate, in provincia di Milano, dove vengono creati laboratori creativi ed altre iniziative per mamma/bambino o solo bambino, a seconda delle circostanze. Cuore pulsante della Fondazione Arché sono le Comunità di Accoglienza (due presenti a Milano e una in apertura a Roma). Una di quelle lombarde, Casa Carla è situata in zona Porta Venezia, mentre l’altra, Casa Adriana, si trova nel quartiere milanese Quarto Oggiaro, dove insieme alla Corte di Quarto forma CasArché, la sede operativa principale della Fondazione. Presso la Corte di Quarto si mettono a disposizione degli appartamenti per mamme con bambini e nuclei vulnerabili. «Arché -racconta Chiara- fornisce l’appartamento e la famiglia è libera di organizzare la sua vita. L’educatore resta presente per seguire quelle aree in cui ancora c’è un po’ di difficoltà o fragilità». Vi è però un rischio: «Un nucleo che entra in un nuovo appartamento, dove comunque non ha il supporto continuo dell’educatore – aggiunge – trova tendenzialmente difficoltà nel momento in cui si trova solo, tendendo a tornare alle conoscenze e ai rapporti passati, spesso negativi e destabilizzanti. Così facendo si rischia di bruciare il percorso educativo. Arché si è quindi resa conto di dover dare a queste persone un tipo di supporto aggiuntivo, un supporto che facesse da rete soprattutto nel momento del bisogno: da qui nasce la Corte di Quarto».
La Corte di Quarto
Nel cortile di CasArché, infatti, sorge La Corte di Quarto, un edificio che segue soluzioni sostenibili sia a livello economico che ambientale, aperta al territorio attraverso una progettazione e una gestione partecipata. Si tratta di un modello virtuoso, una casa per otto nuclei mamma bambino, per tre giovani famiglie e per una piccola comunità religiosa. E’ un luogo di riflessione, culturale e spirituale: «Dietro questo progetto c’è un’idea innovativa – aggiunge la responsabile – Alcuni appartamenti, infatti, ospitano persone che, senza particolari disagi, scelgono per un periodo della propria vita di fare un percorso insieme ad altri». Si creano quindi «situazioni di condivisione, di spazi e di vita, tra i nuclei vulnerabili e le famiglie che condividono. Ne è nata una comunità attiva, unita, in estrema sintonia dove vengono organizzate iniziative, serate, momenti di convivialità». Il modello della Corte di Quarto è pensato anche «per le persone anziane che vivono sole: loro possono ricoprire una figura di nonni, riferimento per i bambini e supporto alle mamme. C’è una gioia quotidiana che deriva dal vivere insieme – aggiunge Chiara – non ci sono più differenze, si vive come una grande famiglia». A fornire un ulteriore supporto alla Corte di Quarto è la Fraternità Arché, congregazione di laici e religiosi che anima la vita della Corte con attività quotidiane. «Nei percorsi di riabilitazione – spiega l’operatrice – è importantissimo avere attorno influssi e persone positive».
A fianco delle donne
«Nel periodo di pandemia le Comunità Arché non hanno mai chiuso, nemmeno quando all’inizio mancavano i dispositivi di protezione individuale. Alcune educatrici – spiega la responsabile – si sono trasferite nella Corte di Quarto per aiutare le mamme ospiti dell’adiacente comunità e non rischiare il contagio entrando e uscendo dalla struttura. Arché è stata tra gli ultimi pensati dallo Stato e questo ha portato un po’ di sconforto. C’erano persone che già di base erano ultime e ora lo sono ancora di più». Tra queste ci sono le donne accolte in Arché che «vivono una sfida doppia, dovuta alle difficoltà della loro condizione e alle difficoltà culturali che derivano dall’essere donna e mamma». Tra le persone che hanno perso il lavoro a causa del Covid19, infatti, pare ci siano moltissime più donne rispetto a uomini: secondo i dati Istat le prime sarebbero 99.000 a fronte di 2.000 uomini.
Ripartire da sé
Per rispondere al bisogno di un cambio culturale e alla creazione di un approccio autonomo al mondo dell’impiego, già prima dell’avvento della pandemia, Arché ha dato vita a un’Area Lavoro che aiuta le mamme a capire cosa vogliono/possono fare e come possono presentarsi sul mercato del lavoro. In questo senso sono già attive da qualche anno una Sartoria Sociale e un Negozio Vintage. «Attraverso queste esperienze – spiega Chiara – c’è la possibilità di relazionarsi con persone che sono sì volontarie ma che sono al tempo stesso persone estrenee alle situazioni di violenza e disagio familiare che vivono o hanno vissuto le ospiti». Oltre a ciò è sempre attiva la ricerca di partnership con aziende e inserimenti lavorativi di più ampio respiro in modo da offrire quante più variegate possibilità. «Alla base di un efficace progetto di recupero serve la volontà da parte delle donne e mamme e non sempre è facile trovarla – conclude Chiara – Prima di trovare il lavoro serve un percorso per ritrovare sé stesse». Serve tendere la mano, aggrapparsi a quella di chi può sorreggere e dare forza, fidarsi nuovamente.
“Dammi la tua mano…Vedi?
Adesso tutto pesa la metà…” cit. Leo Delibes
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_ di Marilisa Cattaneo