Il grande scrittore italiano, già negli anni Settanta, aveva intuito le contraddizioni della globalizzazione e si mostrava sensibile alle istanze ambientalistiche
Illustrazione de Le città invisibili (di Anastasia – 2014)
Italo Calvino (1923-1985) è da molti considerato uno dei maggiori scrittori italiani del XX secolo. Le sue opere hanno la capacità di toccare i più svariati temi con grande profondità, configurandosi come validi spunti di riflessione per tutte le epoche. È questo indubbiamente il caso de Le città invisibili: il libro, pubblicato per la prima volta nel 1972, ha mantenuto intatta tutta la sua potenza evocativa e particolarmente rilevante è la sensibilità dell’autore nei confronti di tematiche ambientalistiche.
Le città invisibili come simboli della realtà
La grande incisività del testo è probabilmente dovuta al fatto che le città visitate da Marco Polo, narratore dell’opera, sono sì invisibili, poiché nate dall’immaginazione dello scrittore senza alcuna corrispondenza a luoghi concreti, ma non per questo meno reali. Come afferma Pier Paolo Pasolini, infatti: “Calvino non inventa nulla, tanto per inventare: semplicemente si concentra su un’impressione reale – uno dei tanti choc intollerabili, che meriggi o crepuscoli, mezze stagioni o canicole ci causano negli angoli più impensati o più famigliari delle città note o ignote in cui viviamo”. Le città di Calvino sono dunque dei simboli, e ognuna di esse ha la capacità di porre questioni e svelare nuovi punti di vista sul significato degli agglomerati urbani, sui diversi modi di percepirli e sulle trasformazioni che con il tempo essi possono subire.
Calvino e le istanze ambientalistiche
Tra le varie tematiche toccate nel corso del racconto di viaggio di Marco Polo, quella che maggiormente stupisce per la sua incredibile contemporaneità riguarda il rapporto tra le città e l’ambiente circostante, che, vista la crescente rilevanza delle istanze ambientalistiche negli ultimi anni, sembra riguardarci particolarmente da vicino. Vale la pena dunque, anche per noi, di visitare la città di Leonia, prima di una serie che Calvino, significativamente, intitola “Le città continue”.
“Tanto ci si chiede se la vera passione di Leonia sia davvero come dicono il godere delle cose nuove e diverse, o non piuttosto l’espellere, l’allontanare da sé, il mondarsi d’una ricorrente impurità”.
In due brevi pagine che hanno tutta l’aria di una parabola moderna, l’autore mette in risalto con estrema lucidità un aspetto che accomuna tutte le città occidentali e industrializzate: il continuo spreco, il consumismo sfrenato e inconsapevole. Inconsapevole e disinteressato, poiché nessuno sembra preoccuparsi delle conseguenze delle proprie azioni (“dove portino ogni giorno il loro carico gli spazzaturai nessuno se lo chiede”), e il disastroso risultato è un mondo invaso dai cumuli di spazzatura che ogni città produce compulsivamente.
Leonia, in fondo, non fa altro che mostrarci l’altro volto di Anastasia, altro luogo calviniano, città ingannatrice che ti bombarda di stimoli e ti illude di poter esaudire ogni desiderio, ma la verità è che “tu credi di godere per tutta Anastasia mentre non ne sei che lo schiavo”:
“Dovrei ora enumerare le merci che qui si comprano con vantaggio: agata onice crisopazio e altre varietà di calcedonio; lodare la carne del fagiano dorato che qui si cucina […]. Ma con queste notizie non ti direi la vera essenza della città: perché mentre la descrizione di Anastasia non fa che risvegliare i desideri uno per volta per obbligarti a soffocarli, a chi si trova un mattino in mezzo ad Anastasia i desideri si risvegliano tutti insieme e ti circondano”.
È chiaro, soprattutto al lettore contemporaneo, che Anastasia simboleggi perfettamente la città vittima del capitalismo sfrenato, che si nutre dei desideri dei suoi abitanti rendendoli schiavi. Nella descrizione di Calvino sembra di intravedere molte delle più grandi metropoli mondiali, con il loro continuo sfavillio di luci e di cartelloni pubblicitari: città come immensi ingranaggi privi di qualsiasi umanità, giganteschi centri commerciali votati al denaro e alla produzione ossessiva di prodotti e – di conseguenza – di scarti.
La globalizzazione e le sue contraddizioni
La serie delle città continue prende tinte sempre più distopiche e man mano che si va avanti con la lettura si manifestano sempre diversi aspetti e conseguenze della globalizzazione e dell’industrializzazione imperanti. Si giunge così a Trude, città che ci fa rabbrividire ponendoci di fronte a un nuovo importante spunto di riflessione. La sua principale caratteristica è infatti quella di non avere alcuna particolarità, di essere identica a tutte le altre:
“Era la prima volta che venivo a Trude, ma conoscevo già l’albergo in cui mi capitò di scendere; avevo già sentito e detto i dialoghi con compratori e venditori di ferraglia; altre giornate uguali a quella erano finite guardando attraverso gli stessi bicchieri gli stessi ombelichi che ondeggiavano”.
Suona come un racconto distopico e surreale, ma, purtroppo, è il semplice risultato di anni di appiattimento culturale e geografico, dato da una globalizzazione sregolata e fuori controllo. Sorge quindi una domanda che tutti noi dovremmo porci: qual è il senso del viaggiare, al giorno d’oggi? Forse il turismo di massa, con le sue richieste stereotipate, è il motore stesso dell’appiattimento, della perdita di autenticità che affligge molti luoghi? Calvino scrisse tutto ciò ben cinquanta anni fa, ma sembrava già essersi posto queste importanti domande.
Non è difficile, dunque, seguire il filo del suo ragionamento, per scoprire che questo ci porta a Procopia, la terza delle città continue. La città di Procopia – che, chissà, potremmo forse anche chiamare Trude – è afflitta da un altro curioso problema, quello del sovraffollamento. Se tempo fa, racconta Marco Polo, dalla finestra della locanda si poteva contemplare un piacevole paesaggio, oggi ciò non è più possibile, perché scostando le tende per guardare fuori non si scorge altro che un’infinita distesa di volti tutti uguali. E non è un caso che anche le persone siano ormai così simili le une alle altre: la grande metropoli senza confini, sempre in movimento ma sempre uguale a se stessa, ci ha incantati e ipnotizzati, nutrendoci degli stessi stimoli, accecandoci con le stesse abbaglianti luci e convincendoci, infine, di provare gli stessi desideri.
Tutti noi, in diversa misura, siamo costretti a riconoscerci negli abitanti di queste surreali e spaventose città che, pur essendo “invisibili”, rendono più visibili che mai molte contraddizioni della società contemporanea. La lettura dell’opera di Calvino, oltre che sorprenderci per il suo carattere quasi visionario, può forse rivelarsi un antidoto, e aiutarci a diventare più consapevoli, meno indifferenti, e disposti a creare un pianeta migliore.
_ di Rossella Caria