Una figura che esiste in Italia già dal 1998 ma che, a seguito della pandemia, è stata inserita nel Decreto Rilancio del 2020
La figura del mobility manager è stata istituita in Italia a partire dal 1998 sulla falsa riga di quanto già fatto in altri paesi europei all’indomani della firma degli Accordi di Kyoto. Una figura semi-sconosciuta nel mondo del lavoro con compiti vaghi e, di fatto, poche possibilità di manovra nell’organizzazione di una mobilità sostenibile a livello aziendale. La pandemia e la necessità di rendere più sicuri gli spostamenti, insieme alla necessità di ripensare i trasporti per garantire il distanziamento sociale, hanno reso la figura del mobility manager fondamentale. A patto che si conosca quale sia effettivamente il suo ruolo.
Organizzare la mobilità in tempo di pandemia
L’emergenza Covid ha profondamente cambiato le nostre vite, tracciando un prima e un dopo fatto di nuove abitudini e comportamenti. Non solo dal punto di vista sanitario e nel modo in cui ognuno di noi affronterà i problemi piccoli o grandi legati alla salute, sia come singole persone che come collettività, ma anche all’interno delle relazioni presenti e future.
In quanto esseri umani, viviamo di confronto e legami con i nostri simili, qualsiasi sia la natura di questi rapporti (familiari, lavorativi, all’interno della propria cerchia di amicizie) e le ragioni che le mantengono. La pandemia ci ha avvicinati nella perdita e ha ridotto le nostre sicurezze, costringendoci ad abbandonare sentieri conosciuti e rassicuranti o a rivalutare in positivo quelle routine che tanto maledicevamo.
Pensiamo a chi è in ufficio e alle ore trascorse dietro ad una scrivania. Dopo mesi di smart working l’idea di abbandonare il nuovo spazio di lavoro che si è costruito può non convincere. Allo stesso tempo, è impensabile immaginare che finita l’emergenza sanitaria si tornerà a lavorare tutti solo ed esclusivamente in presenza. Il tema della mobilità in ogni caso resta uno dei più importanti e complessi da risolvere. E qui entra in gioco il mobility manager, una “vecchia” figura professionale che recupera centralità nel mondo del lavoro, da un lato per garantire sicurezza negli spostamenti e per renderli più “agevoli”, dall’altro per cercare soluzioni all’insegna della sostenibilità ambientale.
Il ruolo del mobility manager
Come dicevamo, la figura del mobility manager esiste in Italia dal 1998. L’obbligo di legge sulla nomina di un mobility manager aziendale riguardava solo gli enti pubblici con più di 300 dipendenti e le aziende con più di 800 lavoratori ma a partire dallo scorso anno il limite è stato abbassato a 100 dipendenti (sia per il settore pubblico che per quello privato).
Le difficoltà create dalla pandemia hanno spinto infatti il Ministero dei Trasporti a “riabilitare” questa figura sperando in una sua maggiore diffusione. I nuovi obiettivi e le nuove competenze sono contenuti nel Decreto Rilancio del 2020.
L’attività principale consiste nel creare un Piano Spostamenti Casa-Lavoro, così da organizzare e ottimizzare gli spostamenti dei dipendenti verso il luogo di lavoro stesso. Il documento, creato attraverso un’analisi dell’accessibilità di tale luogo, della capacità e qualità dei trasporti urbani, nonché delle abitudini e delle esigenze dei lavoratori, si propone di ridurre l’impatto ambientale causato dall’uso dell’auto privata (disincentivandone l’utilizzo in virtù delle possibilità offerte dai mezzi pubblici) e diminuire le spese sui trasporti, al contempo migliorando il benessere dei lavoratori riducendo lo stress derivato dal tempo speso per raggiungere/lasciare il posto di lavoro.
Le competenze del mobility manager
Il numero dei mobility manager presenti nel nostro paese è ancora molto basso rispetto a quanto prescritto dalla legge, ma la spinta data dal Decreto Rilancio del 2020 ha portato ad un aumento significativo di registrazioni, facendo sì che questa sia una delle figure professionali di maggiore richiesta e crescita del momento.
Le competenze richieste sono varie: tecniche, legate alle analisi presenti nel Piano Spostamenti Casa-Lavoro (soprattutto negli ambiti della logistica e dei software da utilizzare), giuridiche (diritto del lavoro), relazionali (tipiche delle Risorse umane), comunicative (marketing). Non si tratta un tecnico vero e proprio ma di un comunicatore con una grande capacità di analisi. Senza dimenticare un aspetto fondamentale: la profonda conoscenza del territorio.
Per diventare mobility manager non è obbligatorio iscriversi a un corso di laurea specifico, non ne esiste infatti uno ad hoc ma corsi di laurea integrano competenze utili a questa figura. Spesso il mobility manager ha una formazione sia umanistica che tecnica con corsi di specializzazione legati alla mobilità sostenibile, all’uso di software gestionali, alle risorse umane e alla logistica.
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_Simone Picchi