In occasione della campagna Energica abbiamo incontrato la scultrice Angela Laudato che ci ha raccontato la sua esperienza di artista
Angela Laudato è una scultrice e insegnante molisana che dall’età di 18 anni non ha mai smesso di sperimentare.
Tanti anni passati a Roma alla ricerca costante della propria espressività creativa.
Dallo studio della scultura all’Accademia di Belle Arti all’esperienza teatrale nella scenografia il passo è breve. Ed ancora disegno, pittura e ricamo.
Ma la scultura rimane il grande amore e le permette di esprimere con maggiore intensità i pensieri e le emozioni e che prendono forma nella calma del suo studio.
Lavora alle sue opere nel suo piccolo laboratorio a piano terra sotto gli occhi dei volti modellati e dal calore della bocca sputafuoco del suo forno. Oltre ai suoi progetti personali, dedica la sua energia e il suo entusiasmo all’insegnamento della modellazione in ceramica.
Ci ha accolto nel suo caloroso studio in un freddo sabato mattina torinese per raccontarsi e farci scoprire il suo mondo fatto di creatività e lotta quotidiana contro le difficoltà e i pregiudizi, attraverso la sua voce e le sue riflessioni sul ruolo della donna/artista nella società di oggi.
Ti sei avvicinata alle discipline artistiche sin da piccola. Qual è il tuo primo ricordo legato all’arte?
Il mio primo ricordo è legato al primo materiale: la sabbia. Io sono nata a Termoli e quindi da piccola passavo l’intera estate al mare con le mie tre sorelle e passavo la maggior parte del tempo a fare le sculture di sabbia perché avevo paura di nuotare. Preferivo giocare con la sabbia per “scappare” dagli scherzi che mi facevano, visto che ero la più piccola e quindi la vittima preferita nei giochi. Credo sia stato l’inizio di tutto. Dalla sabbia sono passata a disegnare e tutto il resto.
Insieme alla scultura, sei impegnata nella pittura e nel ricamo, oltre ad aver lavorato come scenografa e costumista. Queste diverse anime come si integrano tra di loro?
Ogni materiale è diverso e porta con sé sentimenti ed emozioni diverse.
Io ho cominciato a fare scenografia prima di finire l’Accademia delle Belle Arti, subito dopo essermi trasferita a Roma a 20 anni circa. Vivendo in città ho conosciuto delle persone che mi hanno “trascinato” dentro questo mondo ed ho imparato tante cose, ma la finalità era sempre quella di conoscere altri materiali con cui lavorare per esprimere me stessa. Lo studio della scenografia mi è servita a conoscere altre tecniche, perché io non volevo essere una vera e propria scenografa. Infatti quando tornerò a farla, sarà come scultrice.
Non a caso ho fatto la mia tesi di laurea su Anselm Kiefer, un’artista tedesco che ha curato le scenografie dell’Elettra al San Carlo di Napoli: le sue sono state delle scenografie da scultore.
Nell’arte contemporanea sembra che la scultura abbia perso posizioni rispetto ad altre forme creative. C’è un motivo per cui la preferisci – ad esempio – alla pittura?
La risposta è molto semplice: perché la scultura occupa uno spazio ed è una presenza viva in un ambiente. Se in questo laboratorio ci fossero stati dei dipinti sarebbero stati tutti arrotolati e avrebbero occupato un quinto dello spazio, mentre le sculture riempiono tutte le superfici trasferendo costante energia.
E poi – come dico anche ai miei alunni – la differenza tra pittura la scultura e che questa è più democratica: puoi toccarla e sentirla, senza che ci sia il bisogno di vederla. É una forma d’arte che non esclude nessuno.
Nelle tue opere prediligi la rappresentazione di figure anatomiche. Questa scelta da cosa deriva?
Come tutti, ho cominciato con la rappresentazione figurativa, prima di sperimentare forme astratte o riconducibili all’architettura.
Forse è una passione che ho ereditato da un’influenza che ho avuto. Credo che l’attrazione verso le figure anatomiche sia stata influenzata dal lavoro di mio padre. Lui era medico e quindi io sono cresciuta in mezzo a questi libri pieni di immagini sul corpo umano, che sfogliavo e che ho ritrovato negli studi di anatomia in Accademia. Una materia che ho apprezzato moltissimo nel mio percorso di studi.
Sento mie queste forme perché attraverso di esse, il loro studio e la loro rappresentazione, riesco a esprimere me stessa.
Le sensazioni che trasmette una scultura sono diverse e cambiano in base alla sensibilità di chi osserva. Quando crei la tua opera come canalizzi l’energia? Sei tu che la trasferisci all’opera o è l’opera che prendendo forma te la restituisce?
Io ho investito tanta energia in questo lavoro ma è più quella che ritorna indietro e non potrebbe essere altrimenti dato che scolpire è molto faticoso a livello fisico.
Per me non è il successo di una mostra a darmi energia, quanto riuscire a fare quello che io ho in testa e vederlo dal vivo: quando tu ci riesci, è lì che davvero ti ritorna l’energia che hai investito, perché vedi con i tuoi occhi che l’idea che avevi in testa si è trasformata di una cosa concreta, come un processo di energia fatto di dare e ricevere. Con le dovute differenze, credo sia la stessa energia che le donne riescono a incanalare nella faticosa crescita dei loro figli: è dall’amore nei loro confronti, verso qualcosa che amano profondamente, che ricevono energia.
Come vivi il rapporto con il pubblico? Quanto sono importanti i riscontri che ricevi da chi osserva e commenta le tue opere?
Sicuramente c’è un forte senso di soddisfazione quando sono apprezzate e questo trasmette energia per continuare a fare questo lavoro. Ma io non sono alla ricerca del successo, anche perché credo che nel mio lavoro questo sia un termine da non usare.
Devo dire comunque che non ho fatto così tante mostre, soprattutto negli ultimi due anni, prima perché facevo avanti e indietro da Roma e di recente a causa della pandemia.
Quando ho avuto a che fare con il pubblico il riscontro è stato ottimo e questo mi ha reso felice perché è stata un po’ una conferma della bontà del mio lavoro.
Ricordo di aver apprezzato molto una mostra a Cipro perché mi sono confrontata con delle persone diverse per lingua e cultura, e con le quali sono riuscita a creare un collegamento grazie alle mie sculture. La risposta che ho ricevuto mi ha fatto capire che il mio messaggio è arrivato e che sono riuscita a parlare attraverso le mie sculture.
Ti è mai capitato che a guidare la tua creatività sia stato l’incontro o il dialogo con una persona in particolare?
Come puoi vedere ci sono diversi volti orientali (indica alcune sculture presenti in laboratorio, ndr). A Roma ho vissuto in un quartiere etnico abitato da molti cinesi e in Accademia ho avuto diversi colleghi coreani e giapponesi. Anche se non ho mai pensato di ispirarmi alla fisionomia di qualcuno in particolare, inconsapevolmente devo esser stata influenzata.
Per adesso esco poco e lavoro tutto il giorno quindi non ho avuto modo di esplorare Torino a fondo. Spero che una volta finita la pandemia possa fare qualche lavoro ispirato a questa città (ride, ndr).
Viviamo in una società che – seppure abbia fatto passi in avanti nella parità di genere – ha ancora molto da imparare. Secondo te il mondo dell’arte è più aperto al contributo delle donne?
C’è una certa distinzione tra il ruolo dell’uomo e della donna anche se io non la vedevo. Pensavo semplicemente che non ero abbastanza brava e poi, quando invece ho capito che non era così, ho pensato che forse il fatto di essere donna influisce sulla percezione che si ha del mio lavoro e delle mie opere.
Questo non è un ostacolo, ma anzi mi dà più forza.
Una donna non vede mai un ostacolo che non si può superare. Non pensa e non dice mai << Io non lo posso fare…>>.
Pensa ad esempio a Rita Levi Montalcini: donna ebrea che ha continuato imperterrita per la sua strada aprendo la strada a tutte le altre.
Nasciamo con questa forza che proviene prima di tutto dal nostro corpo, predisposto alla creazione (con tutto il dolore che comporta). Forse è anche questa nostra forza che ci permette di non pensare alle conseguenze del parto, un evento del tutto naturale ma potenzialmente pericoloso per il nostro corpo, e di andare avanti sempre e comunque.
L’emotività e l’istinto sono tradizionalmente associati alle donne e sono comunque due aspetti non secondari nella creatività. Quanto sono importanti nella tua arte? E che ruolo hanno rispetto alla razionalità?
L’istinto, l’emotività, la capacità di emozionarsi e la capacità di canalizzare l’energia sono molto importanti anche se tendo a tenere un po’ a bada i primi due.
Fuori dal lavoro sono una persona molto razionale, quindi l’istinto lo sfogo solo nel lavoro e questa è una salvezza. Nella vita di tutti i giorni non sono istintiva e non mi fido del mio istinto. Forse quando ho deciso di venire a Torino è stata la prima volta che l’ho assecondato. Ed ho avuto ragione. Spostarmi da Roma mi ha riconsegnato il silenzio e la tranquillità che sono fondamentali per me nel momento della creazione.
Il nostro mondo iperconnesso e veloce sembra non aver tempo per riflettere. Credi che l’artista debba adeguarsi a questa società dell’immediato e creare delle opere che possano essere consumate velocemente?
No. Anche se l’arte è raccontata e vissuta in maniera più superficiale, il tempo della riflessione deve rimanere intatto. Non si può realizzare niente senza riflessione.
È ovvio che io vivo come gli altri e i miei ritmi fuori dal laboratorio sono quelli degli altri. Quindi anche il pensiero è più veloce rispetto a prima.
Ora posso informarmi grazie al mio telefono e lasciarmi ispirare da tantissime immagini che acquisisco o che fotografo camminando per strada.
Ho tutto a portata di mano e posso lavorarci più facilmente ma i tempi di reazione e i passaggi nel processo creativo sono rimasti gli stessi.
Per me è cambiato solo il modo con cui acquisisco ed elaboro nuove conoscenze.
Detto questo, credo che oggi ci sia comunque un problema nel rapporto tra percezione e riflessione. I miei studenti, più di una volta, mi hanno detto di fare fatica a immaginare perché sono bombardati dalla mattina alla sera da immagini. Mentre io, che fino ai 16 anni credo di non aver mai assistito a una mostra, ho sviluppato tanta creatività e capacità di sviluppare il pensiero perché attorno a me non avevo “nulla”.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Innanzitutto spero che questo periodo così complicato finisca al più presto. Concluso il periodo di chiusura mi piacerebbe mostrare le mie sculture.
Mi piacerebbe poi riprendere a viaggiare, perché nel viaggio prendo anche l’ispirazione e mi ricarico di energia attraverso lo scambio con altre culture.
E infine, mi piacerebbe molto dedicarmi alla realizzazione di sculture di dimensioni più grandi.
Se vuoi scoprire altre storie di Donne e della loro straordinaria Energia
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_ di Simone Picchi