Un problema sistemico che riguarda tutti: la “povertà di raffrescamento” crea nuove disuguaglianze
Se è vero che in alcune aree del mondo la qualità media della vita è migliorata negli ultimi decenni, è altrettanto vero che forme di ingiustizia sociale si stanno facendo strada proprio in virtù di alcuni privilegi tipici dell’aumento di benessere percepito in larga parte della popolazione mondiale. Il cambiamento climatico, che possiamo ridurre a fenomeno tipico causato dall’abuso della richiesta di benessere, è causa scatenante anche di quella forma di ingiustizia che oggi chiamiamo cooling poverty.
Cosa vuol dire cooling poverty?
Ondate di calore estremo, record di temperatura infranti e territori via via più aridi sono causa di difficoltà sempre più evidenti in tantissimi luoghi a noi remoti e non solo. Rinfrescarsi sta diventando un lusso giorno dopo giorno più raro per tantissime persone al mondo. E spesso queste persone coincidono con quella parte di popolazione meno responsabile del riscaldamento globale e che vive già ai margini di quel benessere percepito (e spesso ostentato) da chi invece ha ancora le risorse per ostacolare il caldo e l’umidità. Ecco, proprio questa difficoltà di raffrescamento viene chiamata cooling poverty, una vera e propria piaga per tantissime persone che vivendo in condizioni e territori poveri e svantaggiati subiscono le conseguenze del caldo torrido, dell’umido che non fa respirare e dell’impossibilità di ottenere un sufficiente raffrescamento. Un problema sistemico di certi contesti che è un passo oltre la povertà energetica e che incide più delle guerre sullo sfollamento di certe zone. Laddove la cooling poverty divampa la politica latita.
Mancano strategie adeguate, manca una visione ad ampio raggio e manca un supporto alle persone vulnerabili. Se permettersi un climatizzatore può essere vista per molti come una banale necessità è altrettanto vero quanto alcune aree siano sprovviste delle infrastrutture necessarie per contrastare gli effetti del caldo.
Carenze e gap da colmare
Come accennato, vivere in alcune aree del Pianeta particolarmente soggette a situazioni di caldo estremo significa avere un limitato accesso a tutte quelle risorse che consentono un adeguato raffrescamento. Climatizzatori, ventilatori, deumidificatori sono strumenti che non tutti possiedono. In alcune aree del sud-est asiatico non è raro sentirsi all’interno di forni a cielo aperto. Non di rado le temperature hanno toccato i 45 gradi e oltre. Caldo e umidità regnano incontrastati di fronte alla carenza o all’interruzione totale di corrente per periodi che possono essere anche piuttosto lunghi. Una carenza di infrastrutture che fa il paio con la carenza di risorse sociali (servizi di supporto alla persona) e di conoscenza del problema. Ecco che allora la povertà di raffrescamento diventa, per l’appunto, sistemica.
Resistere o cambiare strada?
Quando nel giugno del 2024 più di mille persone morirono a La Mecca in occasione del tradizionale pellegrinaggio dei musulmani non tutti compresero i motivi del disastro. Imputavano al caldo estremo d’essere l’unico vero colpevole del caso ma in realtà fu una molteplicità di cause a scatenare il tutto. La mancanza di servizi e di infrastrutture in grado di sopportare e supportare un evento che muove una tale massa di persone fa il paio col folle clima di quelle intense giornate. Certo, si tratta di un caso estremo ma è comunque un esempio dei rischi evidenti connessi al cambiamento climatico e alla povertà di raffrescamento che le zone più vulnerabili del Pianeta sono tenute a combattere. Un problema che allarga la richiesta di energia da utilizzare per il raffrescamento così come l’impossibilità di ottenerla.
E se il problema comincia a radicalizzarsi anche nelle zone considerate più miti, a partire dall’Europa? Gli esempi ci sono già. La Sicilia ha sofferto tutta l’estate, in alcune zone il razionamento dell’acqua ha causato danni incalcolabili alle persone e agli animali e il problema non è affatto risolto, mentre la pioggia non arriva o arriva sotto forma di evento estremo dalle conseguenze disastrose ma non si traduce in un disponibilità maggiore di acqua.
Ecco, c’è chi in maniera superficiale cambia meta delle sue vacanze, passando dal mare alla montagna per risparmiare energia ed evitare le ondate di calore estremo, ma la verità è che servono mezzi e misure che scongiurino l’abuso di scorte di energia e di acqua (beni sempre più da razionare) e che non lascino nessuno, letteralmente a secco.
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_Damiano Cancedda